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A Roma ancora manifesti di Pro Vita contro l’aborto: “Il Comune li rimuova subito”

L’associazione ultracattolica Pro Vita ha tappezzato ancora una volta Roma di manifesti contro l’interruzione di gravidanza. Facendo finta di ignorare che il diritto a non abortire esiste già: è quello di accedere all’Ivg che è sotto attacco.
A cura di Natascia Grbic
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Foto da Facebook
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Come ogni anno, in occasione dell'avvicinarsi dell'8 marzo e dello sciopero transfemminista, l'associazione ultracattolica Pro Vita ha riempito le strade romane di manifesti. "Difendiamo il diritto di non abortire – si legge sui cartelloni – Ogni anno migliaia di donne sono di fatto costrette ad abortire per abbandono, solitudine e mancanza di aiuti sociali, economici, morali e psicologici. Mettiamo fine a questo scandalo: subito piani di sostegno sociale alla maternità e alla natalità".

La Cgil ne ha chiesto l'immediata rimozione. "Ci aspettiamo che il Comune di Roma li rimuova subito – si legge in una nota pubblicata sui social – Non accettiamo che sia lesa la dignità e la libertà delle donne e il tentativo di nascondersi dietro espedienti linguistici per colpevolizzare ed umiliare chi sceglie di interrompere volontariamente la gravidanza".

È lecito domandarsi a quali statistiche faccia riferimento Pro Vita. Secondo una relazione trasmessa al Parlamento ad agosto 2022 e pubblicata dall'Istituto Superiore di Sanità, l'Italia è uno dei paesi al mondo dove i tassi di accesso all'interruzione volontaria di gravidanza sono tra i più bassi. Numeri in calo anche rispetto agli anni precedenti: nel 2020 sono state poco più di 66mila, il 9,3% in meno rispetto al 2019.

Questo calo è dovuto a una maggiore facilità nell'accesso alla contraccezione rispetto agli anni passati, e al lavoro dei consultori e dei presidi sanitari che effettuano l'Ivg, riporta sempre il rapporto. Con la prevenzione, si è riusciti a ridurre il numero di gravidanze indesiderate, e con esso il numero di aborti. È difficile trovare una giustificazione ai toni allarmisti usati da Pro Vita, data la realtà dei fatti.

E la realtà dei fatti ci dice una cosa: il problema non è che le donne non sono libere di non abortire, ma che spesso non riescono a farlo. In un paese e in una regione dove il tasso di obiezione di coscienza ha raggiunto (quello sì) livelli allarmanti, sempre più donne hanno difficoltà ad accedere all'ivg, anche se è un loro diritto farlo. Le storie di chi è stata costretta ad ascoltare il battito del feto, o di chi si è vista rifiutare la pillola o l'intervento perché non erano presenti in quel momento medici non obiettori, sono purtroppo moltissime, e molte le abbiamo raccontate anche su Fanpage.

Secondo un'inchiesta pubblicata lo scorso anno dal Coordinamento delle Assemblee delle Donne dei Consultori, solo nel Lazio la percentuale di obiettori di coscienza in alcuni ospedali pubblici arriva anche all'80%. Numeri altissimi, che limitano il diritto non solo a decidere del proprio corpo, ma ad accedere ai servizi previsti dal servizio sanitario nazionale. Chi decide di non abortire nel nostro paese, ha la possibilità di farlo e portare avanti la gravidanza. Il percorso a ostacoli, irto non solo di impedimenti ma anche di pressioni e violenze psicologiche, è per chi non vuole farlo. Con buona pace di chi vuole asserire il contrario.

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