A Roma 600 familiari delle vittime di mafia. Don Ciotti: “Oggi sparano di meno ma sono più forti”
Il 21 marzo si celebra la Giornata nazionale della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime delle mafie. Oggi un corteo, organizzato da Libera, attraversa la città di Roma. In 600, familiari di vittime delle mafie, hanno raggiunto la capitale per ricordare i propri cari.
L'80% delle vittime delle mafie è ancora in attesa di ricevere verità dalla giustizia. "Non dimentichiamo che le mafie sono più forti di prima, anche se sparano di meno. Oggi da crimine organizzato mafioso si è passati a crimine normalizzato", è il commento di Don Ciotti.
Il ricordo di figli, figlie, madri e padri uccisi dalle mafie
"Negli anni ho capito che l'impegno di noi familiari delle vittime di mafia è quello di raccontare la loro storia, portarla con noi, testimoniarla", spiega a Daniele Stefanini per Fanpage.it Daniela Marcone, figlia di Francesco, ucciso nel 1995 nell'atrio di casa sua dopo aver inoltrato un esposto per denunciare una rete di criminali in Procura mentre era direttore dell'Ufficio del Registro di Foggia.
"Mio fratello è stato ucciso a 31 anni dalla Camorra per una foto postata su Facebook. Quello è stato il pretesto iniziale – racconta Susy Ciminiello, la sorella di Gianluca, tatuatore molto conosciuto a Casavatore, in provincia di Napoli ucciso nel febbraio del 2010 – Un altro tatuatore ha visto la foto, di un calciatore. Dopo uno scambio di messaggi, gli ha detto che sarebbe passato nello studio il giorno dopo per parlare da vicino. In realtà ad andare al negozio sono stati alcuni mebri di un clan. Lo volevano picchiare, ma lui era campione di kickboxing ed è riuscito a difendersi. Ma tre giorni dopo sono tornati con una pistola. E per lui non c'è stato niente da fare".
I ricordi dei familiari delle vittime per la mafia
"Era il 24 di giugno quando mia figlia stanca per tutto quello che aveva subito per quasi sette anni di tossicodipendenza e addolorata perché i servizi sociali le avevano tolto la figlia – racconta invece Marisa Fiorani, la mamma di Marcella Di Levrano – Lei nella disperazione e nel dolore ha deciso in segretezza, noi non sapevamo niente, e va in questura a Lecce nel giugno del 1987. Dicendo Sono qui per raccontarvi tutto, ma non firmo niente. Perché se loro lo vengono a sapere mi ammazzano", racconta la donna, riferendosi alla Sacra Corona Unita.
Il corpo martoriato di Marcella Di Levrano è stato ritrovato il 5 aprile del 1990 in un bosco fra Brindisi e Mesagne. Avrebbe compiuto 26 anni il successivo 18 aprile. Dopo la tossicodipendenza voleva abbandonare il mondo di malavitosi e criminalità. È stata uccisa, ma il quadernino su cui aveva l'abitudine di annotare tutto ha raccontato storie di droga, di criminalità organizzata, ma anche di ripulsa di quel mondo.
Storie che si intrecciano, da nord a sud e che attraversano i confini regionali.
"Mio padre era un commerciante e un sindacalista, ha lottato per i diritti dei lavoratori, ha combattuto, ha tenuto la schiena dritta e la testa alta. È stato uno di quelli che è stato ucciso in un periodo difficile a Milano, dopo Tangentopoli", ha aggiunto Lorenzo Sanua, figlio di Pietro ucciso nel 1995. È morto fra le mani del figlio Lorenzo, colpito da un proiettile, senza che nessuno vedesse il killer. Aveva 47 anni ed era originario di Potenza. Come spiega Libera, l'unico movente per il suo omicidio è legato al suo impegno sindacale per la sua categoria e la paura è che fosse finito nel mirino del racket delle tangenti per l'assegnazione delle postazioni nei mercati.
"La verità giudiziaria esiste e bisogna ritrovarla. Ma ci vuole anche un po' di fortuna nel trovarla. Servono forza, caparbietà e tenacia. E questa forza ci viene data proprio da giornate come il 21 marzo, Giornata nazionale della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime delle mafie. Ma sottolineerei impegno. Perché la sconfitta delle mafie deve essere un impegno comune da parte di tutti".