Orlandi, gli avvocati di De Pedis in commissione: “Non era un boss e non c’entra con Emanuela”
"Morì da incensurato. Quello di Enrico De Pedis è uno di quei pochi casi in cui si diventa boss dopo essere morto. Gli scaricano addosso l'omicidio Pecorelli, Calvi, di tutto di più. Non voglio sminuire o dire che De Pedis era uno stinco di santo, ma non aveva questa caratura criminale". È quanto dichiarato oggi dall'avvocato Maurilio Prioreschi, uno dei due legali della famiglia De Pedis convocati nella commissione bicamerale d'inchiesta sul caso di scomparsa di Emanuela Orlandi. Sarebbero stati proprio loro a chiedere di essere ascoltati per "fornire un contributo di verità sul caso Orlandi".
E sui collegamenti fra De Pedis la vicenda della quindicenne scomparsa dal Vaticano nel giugno del 1983, ha spiegato che non ci sarebbe alcun collegamento. "Nasce tutto da una telefonata falsa", ha aggiunto.
Il collegamento fra De Pedis ed Emanuela Orlandi: "Tutto falso"
La telefonata in questione è arrivata e mandata in onda da Chi l'ha visto nel 2005. "Qualcuno diceva: Se volete scoprire il segreto di Emanuela Orlandi, guardate chi è stato sepolto a Sant'Apollinare e il favore che fece al cardinal Poletti – ha continuato – Ma che favore gli doveva fare poi a Poletti?". Nel periodo in cui Emanuela Orlandi è sparita, inoltre, De Pedis era latitante: "Era a Fregene in quel periodo – ha continuato – Eppure da questo momento alcuni pentiti della Banda della Magliana si infilano e cominciano a fare dichiarazioni sul ruolo di De Pedis in questa scomparsa". Non solo il collegamento con Emanuela Orlandi. Secondo l'avvocato Prioreschi De Pedis non avrebbe avuto rapporti né con il Vaticano, né con la politica, né tantomeno con il cardinale Agostino Casaroli: "Se stiamo appresso a queste cose…".
La storia di De Pedis: dalla banda della Magliana a Sant'Apollinare
Prima ancora di dilungarsi sui collegamenti che legherebbero De Pedis ad Emanuela Orlandi, per poi smontarne uno alla volta, l'avvocato ha ripercorso in breve la storia di Enrico De Pedis, conosciuto come Renatino della Banda della Magliana. "È nato nel 1954, nel 1974 a venti anni viene arrestato per una rapina e si fa 5 anni di carcerazione preventiva fino al 1979, quando viene condannato in primo grado, condannato in appello, assolto in Cassazione – ha ricostruito – Le prime rivelazioni dei pentiti della Banda della Magliana arrivano nel 1982, il pm emette un ordine di cattura e De Pedis si rende latitante. Viene arrestato due anni dopo e resta in carcere fino al 1988".
È in quell'anno che, dopo tre processi davanti al tribunale di Roma per traffico di sostanze stupefacenti e due per associazione a delinquere, cinque omicidi, qualche rapina, alla fine viene assolto da tutte le imputazioni per non aver commesso il fatto. "Non era un santo, ma ognuno va processato per quello che ha fatto e non per quello che si pensa abbia fatto – ha sottolineato – Finché era in vita e si è potuto difendere, è stato sempre assolto. Dopo la morte gli hanno scaricato addosso tutta una serie di fatti".
De Pedis e la scomparsa di Emanuela Orlandi: "Lui non c'entra"
Interrogato sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, Prioreschi sembra non avere dubbi: "Inutile dire che non credo alla pista della Magliana – ha dichiarato – Ritengo invece molto convincente la memoria di Imposimato sulla pista bulgara, ho sempre pensato potesse essere buona la pista internazionale, poi ho letto che a Roma in quel circondario di 2,5 km dal Vaticano sono scomparse non so quante 15enni e, ancora, della vicenda della pista familiare: spero che prima o poi si arrivi alla verità", ha concluso sull'ipotesi che porta ad un coinvolgimento di De Pedis nella scomparsa della giovane.
"Ma se la Banda della Magliana avesse messo in piedi un ricatto per riavere 20 miliardi versati alla banca del Vaticano, e perciò rapito la Orlandi, se fosse vero, il Vaticano avrebbe sepolto De Pedis in Sant'Apollinare? La logica non lo dice", ha poi aggiunto, giudicando la testimonianza di Sabrina Minardi inattendibile e contraddittoria.
E sulla presunta consegna fatta al Gianicolo da un autista della Banda della Magliana a una macchina targata Vaticano, ha spiegato: "Mai sentito parlare di Sergio Virtù, il presunto autista", di cui, invece, ha parlato l'ex pm Giancarlo Capaldo.
La tomba di De Pedis in Sant'Apollinare: "Ecco perché era sepolto lì"
Si è dilungato, invece, sulle questioni legate alla sepoltura in Sant'Apollinare di De Pedis da dove, però, la tomba è stata spostata. "Per me sarebbe dovuto rimanere lì per una questione di principio – ha dichiarato – Per toglierla hanno persino demolito la cripta". Poi ha ripercorso le vicende legate alla tomba in Sant'Apollinare.
"Per come mi è stato raccontato dalla moglie, De Pedis ha conosciuto monsignor Vergari, rettore della basilica di Sant'Apollinare, durante la seconda detenzione, abbondantemente dopo la scomparsa di Emanuela Orlandi. Una volta uscito dal carcere ha continuato ad avere un rapporto con lui, perché era appassionato di canto gregoriano – ha spiegato – Ha iniziato a frequentare la basilica e le messe. Dopo una di queste, Vergari gli ha detto di avere intenzione di restaurare i locali della cripta per 10 celle mortuarie affinché anche i privati potessero essere sepolti con l'autorizzazione, sono andati anche a visitarli, era fatiscenti".
Un paio di anni dopo, nel 1990, De Pedis è morto e viene sepolto al Verano. "La tomba, però, subiva continui atti vandalici. Così la moglie di De Pedis si è ricordata della conversazione del marito con monsignor Vergari e gli ha chiesto se potesse essere sepolto lì anche perché la donna lavorava a 200 metri dalla basilica: andare al Verano da Prati o dal lungotevere era un viaggio per lei – ha continuato a spiegare l'avvocato – Quando la moglie ha concordato con don Vergari la sepoltura nella cripta, si è fatta carico delle spese di ristrutturazione del locale sottostante", ha aggiunto. Il costo della sepoltura, lo ha sottolineato l'avvocato, è stato di 40 milioni: "Come li avevano? La moglie ha sempre lavorato, il resto è il guadagno dai loro ristoranti", ha spiegato.
La scoperta della sepoltura in Sant'Apollinare a Roma di De Pedis
In realtà quella della sepoltura in Sant'Apollinare, quando arrivò quella famosa telefonata a Chi l'ha visto?, non era una novità: "La prima notizia è arrivata nella procura di Roma da un confidente, così è stata aperta un'indagine: sono stati ascoltati i familiari, acquisita la documentazione, comprese le fatture, sentiti gli Scarpellini che hanno fatto il sarcofago. Poi archiviata".
Nel 1997 alcune foto arrivano alla stampa: "Erano fornite dagli inquirenti, erano le stesse dei sopralluoghi della Dia", ha continuato il legale che, però, non ha saputo spiegare, interrogato dal presidente De Priamo, perché il vicario di Roma dell'epoca, il cardinale Ugo Poletti non fu mai ascoltato. "Evidentemente non lo hanno ritenuto, fece una lettera come facevano i politici, di raccomandazione", ha aggiunto, smentendo alcune delle dicerie che circolavano sul conto di De Pedis, come quella che lo vedrebbe come figlio illegittimo dello stesso cardinale.
L'estumulazione: "Giani chiamò noi avvocati, non voleva avvertire la Procura"
Secondo quanto spiegato dall'avvocato, sia lui che l'altro legale della famiglia De Pedis, Lorenzo Radogna, sono stati chiamati dal comandante della gendarmeria vaticana, Domenico Giani: "Era il 2012 e noi volevamo dare il consenso della famiglia a spostare il sarcofago perchè era uno stillicidio sui giornali. Ad un certo punto è arrivata una chiamata al mio collega Radogna: dall'altra parte c'era il vicecomandante Alessandrini che, a sua volta, ha passato la cornetta a Giani. Ci hanno spiegato che per loro la situazione era imbarazzante", ha spiegato. Si tratta di una chiamata a cui, nel corso delle rispettive audizione in commissione, non ha fatto riferimento né Giani né Alessandrini.
La stessa telefonata è stata citata oggi nel corso dell'audizione dell'avvocato Radogna. "Ho ricevuto una telefonata da un numero sconosciuto ed era la Gendarmeria vaticana. Ci chiamavano per la questione della sepoltura, ci suggerivano di dire alla nostra assistita di spostare la tomba, che si sarebbero fatti carico di tutte le spese – ha ricordato – E io ho fatto una domanda da ingenuotto, ho chiesto se Capaldo ne fosse a conoscenza. Mi risposero che non c'era bisogno, mi chiesero di non farglielo sapere. Io ero a studio, avevo accanto Prioreschi, gliel'ho passato".
La risposta del collega è stata irremovibile: "Noi abbiamo risposto di non avere problemi a riguardo, purché fosse avvertita la Procura. Ci risposero: Allora volete la guerra. Mi disse che avrebbero fatto a loro spese soltanto se non avessimo detto niente in Procura, così ho minacciato di riferire la sua oscena proposta". E il resto è storia nota. Ma soltanto quella che riguarda l'estumulazione della tomba.