Incrociando le dita (e i dati disponibili), forse ci siamo: secondo quanto annunciato oggi da Eurostat la ripresa sembra iniziare a far capolino in Eurolandia, in modo anche leggermente più equilibrato di quanto si sia visto finora, visto che mentre Spagna (Pil +0,9% dopo il +0,7% del quarto trimestre 2014), Francia (+0,6%, il miglior dato da due anni) e Italia (+0,3% contro attese di +0,2%) accelerano, la Germania (+0,3% contro il +0,7% segnato nel trimestre precedente) inizia a rallentare. Nel complesso la crescita del Pil in Eurolandia sale al +0,4% (identica la variazione nella Ue-28), contro il +0,3% segnato nei tre mesi precedenti.
Il dato appare in linea con le attese, così come da attese la Grecia resta in crisi, visto che in questo caso il Pil segna un altro calo dello 0,2% nel trimestre, dopo essere già sceso dello 0,4% nei tre mesi precedenti, riportando così ufficialmente il paese in recessione tecnica. Se Atene piange, per colpa della “cura tedesca” per alcuni, della totale incapacità di qualsivoglia governo di tener fede agli impegni assunti nei confronti dei propri creditori internazionali (che debbono ancora decidere se erogare o meno gli ultimi 7,2 miliardi su 240 miliardi di aiuti complessivi) secondo altri e deve sperare sempre e solo nella Bce, che ancora ieri ha alzato di altri 1,1 miliardi, a 80 miliardi tondi, il tetto del programma (Ela, Emergency liquidity assitance) attraverso cui viene fornita liquidità d’emergenza alle banche elleniche, “cura Draghi” sembra funzionare.
Ora che la Bce ha preso a pompare liquidità in tutta Eurolandia acquistando bond sul mercato, il rischio che una bassissima inflazione si potesse trasformare in una deflazione conclamata a livello dell’intera area dell’euro e non solo (come già accade) di alcuni singoli paesi in cui la “cura tedesca” ha portato ad una deflazione salariale individuata come principale mezzo per recuperare produttività, sembra retrocedere. Ma la cura di Draghi è complementare a quella del rigore fiscale che Berlino promuove da ormai quasi cinque anni con allentamenti solo marginali in questi ultimi mesi. Acquistando bond la Bce riempie le banche (che i bond le vendono) di denaro che può poi essere impiegato in vari modi a seconda dei singoli istituti.
Anzitutto la liquidità data da Draghi alle banche può servire ad effettuare ulteriori accantonamenti e svalutazioni dei crediti di dubbia esigibilità, magari in attesa, come in Italia, che si vari una “bad bank” sistemica sul modello (oppure no) di quella spagnola o di quella austriaca che pure qualche problema hanno dato e rischiano di continuare a dare soprattutto ai contribuenti dei rispettivi paesi, visto che il problema in questo caso è chi e come possa effettuare una valutazione corretta del valor residuo dei crediti ceduti. Ma poi può essere utilizzata anche per far ripartire gli impieghi e persino in Italia qualche primo segnale che questo stia iniziando ad avvenire c’è, se è vero come è vero che il mercato dei mutui sta ripartendo.
Secondo quanto segnala l’Osservatorio sui mutui di Mutui.it e Facile.it, l’incremento delle compravendite immobiliari (legate al calo dei prezzi registrati in questi anni) e i valori negativi toccati nelle ultime settimane dall’Euribor hanno fatto crescere sia la domanda sia le erogazioni di finanziamenti a lungo termine. Nello scorso semestre, infatti, l’importo medio dei mutui concessi è risultato pari a quasi 120.000 euro, il 5,4% in più rispetto alla rilevazione di sei mesi prima. Buone notizie anche per ciò che concerne il “loan to value”, ossia la percentuale erogata in rapporto al valore dell’immobile da comprare, tornato sopra la soglia “psicologica” del 50%. Le somme richieste sono infatti tornate a valere il 55% del valore degli immobili a fronte dei quali si accende un mutuo, ovvero le somme erogate al 52% dello stesso importo.
Dopo anni di richieste di mutui variabili la sensazione che i tassi non possano scendere oltre e semmai risaliranno nel prossimo futuro ha portato il 60% di chi ha chiesto un mutuo a puntare al tasso fisso e anche questo sembra un segnale che una ripresa, per quanto flebile, stia iniziando a mettere radici nell’ex “bel paese”. Se questo è vero si spiegherebbe anche come mai sul mercato da qualche tempo i tassi hanno smesso di scendere (e per ora le borse di correre, come già ricordato), non solo e non tanto in relazione all’andamento delle trattative tra la Grecia e la “troika”. Un’economia in ripresa vede infatti un incremento della domanda di credito e, a parità di altre condizioni, porta ad un naturale incremento del costo del denaro.
Questo farà bene a chi, come le assicurazioni o i fondi pensione, deve impiegare a lungo termine flussi di cassa importanti, mentre rischia di fare meno bene a chi si dovrà indebitare (e questo spiega facilmente perché chi lo fa ora preferisca farlo a tasso fisso, anche se tale tipologia di tasso è più costosa di quella a tasso variabile). Per il Tesoro italiano questo vuol dire, per contro, che sarà difficile poter sperare in ulteriori “sconti” e che il costo marginale del debito tornerà a crescere rallentando prima, bloccando e invertendo poi anche la tendenza alla diminuzione del costo medio (su cui si fanno le ipotesi di debito/Pil e deficit/Pil incorporate tra l’altro nel Def e nelle leggi di stabilità).
La controprova non ha tardato a manifestarsi: dopo aver collocato ieri 6,5 miliardi di Bot a 12 mesi ad un tasso pari allo 0,027%, in crescita rispetto al minimo storico dello 0,013% del mese scorso, stamane il Tesoro italiano ha collocato in asta altri 7 miliardi in tutto di Btp di diverse durate, dai 3 ai 30 anni, sempre a tassi in risalita rispetto ai minimi storici di aprile. Nel dettaglio, sono stati collocati 3 miliardi di Btp triennali al tasso lordo dello 0,32% (dal precedente 0,22%), 2,5 miliardi di Btp settennali al tasso lordo dell’1,31%, 749,9 milioni di Btp a 15 anni al tasso lordo del 2,32% e 750,1 milioni di Btp a 30 anni al tasso lordo del 2,92% (contro l’1,86% dell’asta precedente).
La domanda sia ieri sia oggi è rimasta ad un buon livello, ampiamente superiore all’offerta, ma solo a condizione che i tassi risalissero dai loro minimi storici. L’era del denaro “sotto zero” o quasi sembra alla fine, l’economia reale potrebbe aver innescato la tanto attesa ripresa: l’importante ora sarà fare in modo che il trend si consolidi e che nessun movimento brusco dei mercati o dei tassi ufficiali lo interrompa prematuramente.