Riina junior racconta: “Orgoglioso di mio padre Totò, non mi ha mai fatto mancare l’amore”
"È dal gennaio del 1993 che non faccio una carezza a mio padre, e così le mie sorelle e mia madre". In un'intervista esclusiva rilasciata al Corriere della Sera vengono svelati alcuni interessanti particolari della vita della famiglia Riina. A parlare del rapporto con il padre Totò è Giuseppe Salvatore, detto Salvo, 39 anni, il figlio minore del capomafia Totò Riina, mandante delle stragi di Capaci e via D'Amelio del 1992. Anche Salvo ha avuto i suoi guai con la giustizia: come suo fratello Giovanni e suo padre, è stato condannato per associazione mafiosa.
Per lui la pena, interamente scontata, è stata di 8 anni e 10 mesi di reclusione. Attualmente vive e lavora a Padova, in regime di libertà vigilata. Interessante é l'immagine restituita dal racconto di Salvo, che descrive Totò Riina come un padre premuroso e amabile, in netto contrasto con quella di crudele capomafia ricostruita dalle sentenze giudiziarie: "Io sono orgoglioso di Totò Riina come uomo, non come capo della mafia. Io rispetto mio padre perché non mi ha fatto mai mancare niente, principalmente l’amore. Il resto l’hanno scritto i giudici, e io non me ne occupo".
Di quell'anno, il 1992, Salvo Riina per esempio ricorda le notti insonni passate a guardare il "Moro di Venezia" nell'America's Cup insieme al padre. "Non avevo ancora 15 anni e Totò Riina era il mio eroe". Nelle stesse notti, il padre Totò stava pianificando l'omicidio del Dc Salvo Lima, racconta il giornalista Giovanni Bianconi. E proprio attraverso le sue domande, Bianconi riesce a ripercorrere tutte le tappe di quel dannato 1992, legando le date degli eclatanti omicidi commissionati dal padre ai ricordi di un poco più che adolescente Giuseppe Salvatore Riina. Del 23 maggio 1992, giorno della strage di Capaci in cui perse la vita, tra gli altri, il giudice Giovanni Falcone, Salvo ricorda le immagini mandate in onda dai telegiornali, dello svincolo di Capaci completamente sventrato dall'esplosione, le auto accartocciate, "un cratere fumante, pieno di rottami e di poliziotti indaffarati nelle ricerche". Il padre Totò, seduto vicino a lui nella sua poltrona, non disse nulla. Nessuna emozione traspariva, nulla che potesse farlo sembrare agitato o che potesse addirittura tradire il suo coinvolgimento in quella strage.
E' la volta dei ricordi legati al 19 luglio, il giorno della strage di via D'Amelio, dove perse la vita l'altro giudice della Procura di Palermo, Paolo Borsellino. In quel periodo la famiglia Riina era in vacanza al mare, ma quel giorno Totò preferì rimanere a casa. "Negli ultimi mesi era diventato più attento nelle uscite in pubblico, anche se dentro casa era sempre il solito uomo sorridente e disposto al gioco". Quando tornò a casa, ricorda Salvo, anche quel giorno si trovò davanti ai servizi sull'ennesima strage compiuta da Cosa Nostra. La sorella più piccola, Lucia, rimase molto colpita da quelle immagini e ripetutamente domandò a suo padre se dovessero ripartire subito per Palermo. Totò Riina rispose di no e le vacanze quell'anno finirono come di consueto alla fine del mese di agosto.
Leggendo l'intervista quello che appare evidente è il fatto che il figlio di Totò Riina, ripercorrendo i ricordi legati alle stragi, non ammette mai il coinvolgimento diretto di suo padre, un motivo però c'è e lo spiega: "Io non sono il magistrato di mio padre, non è competenza mia dire se è stato il capo della mafia oppure no. Lo stabiliscono le sentenze, io ho voluto parlare d’altro: la vita di una famiglia che è stata felice fino al giorno del suo arresto, raccontata come nessuno l’ha mai vista e conosciuta". Delle vittime delle stragi e degli omicidi ordinati dal padre evita di parlare e a domanda diretta risponde: "Qualunque cosa dicessi sarebbe strumentalizzata. Meglio il silenzio, nel rispetto del loro dolore e della loro sofferenza. Anche in questo caso la meglio parola è quella che non si dice".
L'intera storia della famiglia corleonese è stata raccontata in prima persona da Salvo Riina, nel libro "Riina-Family Life" edito da Mario Tricarico, che uscirà nelle librerie in questi giorni. Il libro, come spiega lo stesso Riina Jr, non è stato scritto per raccontare la vicenda giudiziaria del padre "non voglio dare conto delle condanne subite da mio padre, anche perché sarebbe inutile. A me interessava far capire che esiste ed è esistita una famiglia che non aveva niente a che fare coi processi e quello che succedeva fuori, e che nessuno conosce anche se tutti pensano di poterla giudicare". Non gli interessa soddisfare la curiosità altrui, solo difendere l'onore della sua famiglia e del padre, ammette.