Riforma Gelmini, dopo tre anni gli studenti protestano ancora. L’istruzione sarà un bene per pochi?
Riforma Gelmini: tre anni di proteste
Scuola pubblica e università destinate a diventare un bene per pochi? Cambia il ministro Gelmini, ma il nuovo dicastero nelle mani del rettore Profumo seguirà una via diversa?
17 novembre 2011: la Giornata Internazionale per il diritto allo studio diventa il giorno della protesta contro le dittature finanziare che stanno prendendo il controllo dei governi in Europa, sulla scia del movimento degli Indignados e di OccupyWallStreet. Questo affermano le migliaia di studenti scese in piazza nelle maggiori città italiane a scandire slogan sia contro l’ex-ministro Mariastella Gelmini – rea di una “riforma” che ha sconvolto in negativo gli Atenei italiani – sia contro il nuovo governo guidato dal presidente Mario Monti, che con un Esecutivo composto da banchieri e rettori di università private sembra voler continuare il disegno di privatizzazione della scuola pubblica.
Dopo più di tre anni dall’approvazione nel 2008 della Riforma Gelmini e della legge 133, il bilancio è tragico per l’istruzione italiana: investimenti inferiori alle medie OCSE in università e ricerca – ridotti ulteriormente negli ultimi anni – incrementi delle tasse di iscrizione e drastiche diminuzioni delle borse di studio. Una riforma che ha fatto discutere per i numerosi esuberi e per aver reso ancor più instabile la posizione dei tanti precari del mondo della scuola, ma che non può essere del tutto applicata a causa della mancanza di decreti attuativi. Così, le promesse rivoluzioni promesse dall’avvocato torinese – come lo stop al caro libri e la lotta ai baroni dell’università – rimangono al palo, mentre all’orizzonte il nuovo governo e il nuovo ministro Francesco Profumo sembrano orientati al “modello Bocconi” per una scuola sempre più simile a quelle anglosassoni.
Eppure, di fronte alle proteste continue degli studenti, lo stesso ex-ministro Gelmini si era rivoltata contro l'imposizioni del dictat dei tagli lineari voluti dall’altro ex-ministro Giulio Tremonti, tanto che in ottobre aveva finanche preso le distanze dalle sue previsioni di riduzione delle risorse per la scuola pubblica fino al 2025: “No, basta, i tagli sono finiti. Nel 2012 la pianta organica dei docenti sarà stata ridotta di 80 mila unità e lì ci fermeremo” dichiarava la Gelmini. Invece, lei si è fermata dopo che le dimissioni di Silvio Berlusconi hanno portato alla formazione di un nuovo governo, lasciando una pesante eredità.
Gli effetti della Riforma Gelmini
Dopo tre anni di riforma, gli investimenti sono diminuiti, le tasse aumentate e le borse di studio azzerate
L’Italia investe soltanto il 4,8% del Pil in istruzione e università, lo certifica una ricerca Ocse. In media, gli altri paesi dell’area investono il 5,9% con punte del 7% in Usa, Corea e Norvegia. Per l'educazione universitaria, l’Italia spende l'1% del Pil, contro una media Ocse 1,5%. Dal 2004 al 2008, però, si era assistito a un graduale aumento del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) – passato da 6,552 miliardi di euro a 7,423 miliardi. Con la Riforma Gelmini e la legge 133 del 2008, invece, il valore del fondo è letteralmente crollato, tanto che per il 2012 è prevista una cifra non diversa da quella del 2004 – soltanto 5,552 miliardi di euro. Nel complesso, la Riforma Gelmini ha apportato 8 miliardi di tagli all’ istruzione pubblica.
Nel trienno 2012 – 2014, il Consiglio Universitario Nazionale (CUN) stima tagli del 13% al FFO. Nella stima viene fatto rilevare come il ritardo nell’assegnazione dei finanziamenti renda ancor più difficoltosa la programmazione economico-fnaziaria degli Atenei. Basti pensare che il FFO per l’anno 2010 è stato assegnato per Decreto l’ultimo giorno dell’anno: il 30 dicembre 2010.
Legge di stabilità 2011 e istruzione
Le norme appena approvate in Parlamento, dopo le quali il presidente Berlusconi è salito al Colle per rassegnare le dimissioni, garantiscono un parziale reintegro di 400 milioni di euro al FFO per il 2011. La denuncia degli studenti scesi in piazza in tutta Italia è che si tratta di fondi assegnati annualmente, con discontinuità, che non permettono agli Atenei una programmazione economico-finanziaria.
Decreti attuativi della Riforma Gelmini
L’entrata in vigore della Riforma Gelmini è mai stata completa a causa della mancata approvazione dei decreti attuativi della legge 240 del 2010. 38 dei provvedimenti – assicuravano in estate dal Miur – sono firmati e i restanti 6 sarebbero presto stati approvati dal ministro Gelmini. Ma la firma del ministro non sarebbe bastata a renderli operativi, in quanto per la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale bisognava portare a termine tutto il loro tortuoso iter legislativo. Il 27 ottobre, l’ex-ministro Gelmini, in audizione alla Commissione Lavoro della Camera, dichiarava che i 38 decreti attuativi sarebbero stati approvati entro la fine del 2011. Dieci giorni dopo, cadeva il governo Berlusconi e dei decreti si perdevano le tracce, lasciando gli Atenei nel caos.
Esuberi del personale docente
Il 94% del bilancio del ministero dell’Istruzione serve a coprire gli stipendi del personale, con la manovra finanziaria del giugno 2008 il ministro Tremonti impose il taglio lineare di 87.400 cattedre in tre anni. Nel triennio 2008 – 2011 questo si è tradotto nell’esubero di 132 mila tra docenti e personale ATA. Hanno perso il proprio incarico 25 mila supplenti con incarichi annuali e 44 mila tra bidelli e tecnici di laboratorio. Nessuna stabilizzazione per le migliaia di insegnanti precari impiegati nel settore pubblico.
Stipendi in Italia
Il rapporto Ocse sulle retribuzioni in Europa sottolinea che gli stipendi dei docenti italiani sono tra i più bassi del continente (siamo al 27 posto in generale) e che dal 2000 al 2009 questi sono diminuiti dell’1%, mentre negli altri paesi c’è stato un incremento medio del 7%.
Inglese alla scuola primaria
Gli 11.200 insegnanti specialisti di inglese per le scuole primarie vengono riconvertiti dalla Riforma Gelmini in insegnanti comuni, così in molti istituti elementari la lingua straniera scompare dal programma di studio (alla faccia della competitività internazionale dei nostri studenti).
Insegnanti in esubero
Il lascito di Mariastella Gelmini al nuovo ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, è pesante: oltre 10 mila insegnanti di ruolo che hanno perso la propria cattedra e che continuano a essere pagati pur non insegnando. Nella recente manovra finanziaria, per loro è prevista la “collocazione in disponibilità” – una sorta di cassa integrazione dalla durata di due anni con uno stipendio ridotto all’80% – dopodiché il licenziamento.
Ridimensionamento degli istituti scolastici
Tra i punti di programma da attuare entro il 31 dicembre 2011 dell’ex-ministro Gelmini vi era l’eliminazione delle 1.130 istituzioni scolastiche con meno di mille alunni, per un risparmio complessivo di 172 milioni di euro. Questa operazione causerà la soppressione di 1.130 posti di dirigente scolastico e la cancellazione di 1.765 contratti di collaborazione.
Ricercatori universitari
La Riforma Gelmini predispone che l’ingresso dei ricercatori negli atenei possa avvenire soltanto tramite contratti a tempo determinato di 4-5 anni, seguiti da contratti triennali. Per la conversione di questi in un rapporto di collaborazione a tempo indeterminato, il ricercatore deve sostenere un esame di idoneità. Nel caso non venisse superato, il rapporto di lavoro cessa in modo definitivo. Secondo i ricercatori, che hanno duramente protestato negli anni scorsi contro queste norme, si aggrava così il precariato universitario e si danneggia l’istruzione degli alunni, dato che sono proprio i ricercatori a svolgere il 40% delle attività didattiche – nonostante il loro contratto non lo preveda.
Aumento delle tasse e tagli alle borse di studio
Il lascito della riforma Gelmini: taglio selvaggio del diritto allo studio e aumento delle tasse universitarie
Per far fronte ai drastici tagli previsti dalla Riforma Gelmini, gli atenei hanno generalmente aumentato le tasse di iscrizione universitarie: un incremento del 60% dal 2001 al 2009. Nonostante la normativa italiana impedisca che gli introiti derivanti dalla contribuzione studentesca superino il 20% del FFO, già dal 2005/2006 i proventi delle tasse di iscrizione costituivano a livello nazionale il 21,5% del totale. Questo dato è andato crescendo nel 2008/2009 arrivando al 22%, mentre nel 2009/2010 – con i tagli agli investimenti previsti dalla Riforma Gelmini – si è arrivati al 23,6%. La Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI) il 6 luglio 2011 ha proposto al Miur di abolire il limite del 20%.
Tagli alle borse di stdio
Secondo stime elaborate dalla Cgil, i tagli previsti in particolare per il 2012 – 2014 causeranno il dimezzamento delle risorse destinate ai servizi per gli studenti. I fondi per il diritto allo studio diminuiranno del 49,09% passando da 151,98 milioni a 77,37 milioni di euro. Ridimensionata anche la quota destinata alle residenze studentesche, che dai 31,33 milioni di euro stanziati nel 2008 passeranno ai 18,66 milioni di euro nel triennio 2011 – 2013 (una riduzione del 40,44%).
I movimenti studenteschi denunciano cifre ancor più ingenti: dal 2009 al 2012 si sarebbe registrato un taglio del 94% del fondo per il diritto allo studio. Per garantire a tutti gli studenti idonei alla borsa di studio per reddito e merito l’ottenimento dei fondi, secondo stime elaborate dai movimenti, sarebbe necessario uno stanziamento di 400 milioni di euro annui. Quest’anno sono stati stanziati 150 milioni, ma i movimenti denunciano che – a causa dei i tagli delle manovre finanziarie del 2010 e della Legge di Stabilità 2011 – nel 2012 vi sarà uno stanziamento di soli 13 milioni di euro. Gli studenti sottolineano che già nel 2011 soltanto la metà degli aventi diritto percepisce la borsa di studio che gli spetterebbe.
Chi paga le borse di studio? Il calcolo elaborato dai movimenti studenteschi è sorprendente: se si sommano i fondi stanziati dal Governo e dalle Regioni per il diritto allo studio, si arriva a circa 190 milioni di euro. Il fondo per il diritto allo studio, quindi, è finanziato per la maggior parte dalle tasse pagate dagli stessi studenti, che arrivano a 270 milioni di euro. Non a caso, le tasse regionali per il diritto allo studio sono in aumento, solo nella Regione Lazio si è registrato un rincaro di 100 euro per tutti gli studenti.
Prestito d'onore universitario
Tra i punti centrali della Riforma Gelmini vi era il passaggio dalle borse di studio per il diritto allo studio a una forma di prestito d’onore universitario. Il ministero ha stanziato 50 milioni di euro per un fondo ad hoc e preparato un decreto per l’attivazione di prestiti da restituire al termine degli studio con l’interesse. Sulla scia di tali proposte, a inizio 2011 si è aperto un dibattito sulla possibilità di aumentare la tassazione studentesca oltre i 10 mila euro annui per arrivare a un modello universitario anglosassone, dove l’accesso all’istruzione sia garantito proprio tramite prestiti d’onore. Ma questo sistema, proprio negli Stati Uniti in cui è applicato da anni, non ha portato benefici: nel 2009 gli studenti americani si sono laureati con un debito medio di 24 mila dollari e soltanto il 40% di loro risulta in regola con i pagamenti per la restituzione post-laurea.
Cari libri di testo
Uno dei punti centrali del decreto legge approvato il 28 agosto 2008, cardine della Riforma Gelmini, era il prolungamento dei tempi di utilizzazione dei libri imponendo agli istituti scolastici di adottare solo testi di editori che si sono impegnati a mantenerne il contenuto invariato per cinque anni. Una misura presa per salvaguardare le famiglie, spesso costrette comprare continuamente libri di testo nuovi a causa delle modifiche annuali agli stessi. Nonostante la norma, però, il caro libri ha continuato a mettere in ginocchio le famiglie italiane: nemmeno i tetti ministeriali delle spese dei libri di testo vengono rispettati dagli istituti scolastici. Un’indagine Adiconsum rivela come la spesa per i tomi nel Nord Italia sfori i limiti nel 62% delle classi, 47,5% al Centro e 52,5% al Sud. Lo sforamento supera i tetti imposti dal ministeromediamente del 30%, arrivando a punte del 45%.
I Baroni dell'Università
La lotta alle baronie nell’università pubblica era uno dei liet motiv dell’ex-ministro Gelmini, ma l’ultimo atto del suo mandato è stato nominare direttore del CNR Gennaro Ferrara – che da Gian Antonio Stella sul Corriere è stato definito “per 23 anni rettore di quella che probabilmente è l’università più nepotista d’Italia, la napoletana Parthenope”. Ferrara aveva fatto assumere nell’Università sua moglie, il fratello di lei, sua figlia e i mariti di entrambe le figlie. Inoltre, che la la Riforma Gelmini non abbia scalfito le dinastie di Baroni nell’università italiana è testimoniato anche dalla ricarca scientifica del dott. Stefano Allesina: “Misurare il nepotismo tramite i cognomi condivisi: il caso dell’Accademia italiana”. Nello studio si dimostra che nelle facoltà italiane ci sono concentrazioni di cognomi “noti” in misura maggiore che nelle altre nazioni del mondo: il fenomeno è più diffuso al Sud e nelle facoltà di Medicina, Ingegneria e Giurisprudenza. La ricerca misura soltanto la diffusione dei cognomi simili, quindi sottovaluta il fenomeno delle baronie non misurando il nepotismo derivante dall’assumere amici e parenti con cognome diverso.
Modello universitario "bocconiano"
Il nuovo governo Monti vuole introdurre un modello Bocconi nell'università pubblica?
Con l’avvento del nuovo Esecutivo guidato dal prof. Mario Monti e con il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo, la politica nei confronti della scuola e dell’università pubblica continuerà sulla falsariga di quella del ministro Gelmini? Ci troviamo di fronte a un Governo che si è formato tra i banchi della Bocconi, ateneo privato milanese, e della Cattolica, ovviamente vicina alle istanze del mondo clericale e delle sue rivendicazioni sull’Istruzione.
Il ministro Gelmini, con un emendamento al comma 47 della legge di stabilità del novembre 2010, aveva stanziato 245 milioni di euro a favore delle scuole private e cattoliche riconosciute dallo Stato. Inoltre, nel maggio 2010, 12 mila insegnati di religione assunti a tempo determinato nelle scuole italiane hanno ricevuto un aumento in busta paga di 220 euro. Invece, per il rinnovo del contratto degli insegnanti, il Governo ha concesso soltanto 20€ – sui 200€ chiesti dai sindacati – legati al merito del docento.
Infine, cuore della riforma universitaria è l’introduzione di Consigli di Amministrazione con 3 membri esterni e un direttore generale con responsabilità amministrative, equiparato a un manager privato. Anche nei Cda, è incentivato l’ingresso dei privati. Il nuovo presidente del Consiglio, Mario Monti, è l’ex-Presidente dell’Università Bocconi. Il nuovo ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, è ex-Rettore del Politecnico di Torino, nel cui Cda siedono anche privati e fondazioni. Il ministro dei Beni Culturali, Lorenzo Ornaghi, è il rettore dell’Università Cattolica, mentre il ministro della Giustizia Paola Severino è anche vicerettore dell'Università Luiss "Guido Carli". Riuscirà questo governo a dare risposta ai giovani indignados/Occupy che chiedono che l’istruzione diventi un bene comune?