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Opinioni

Riforma dell’Imu, da dove si prenderanno le risorse?

Riformare l’Imu, ridurre il cuneo fiscale sul lavoro, evitare l’aumento dell’Iva: per ogni riforma, non potendo fare nuovi debiti, sarà necessario individuare altrettanti tagli alle spese. Non basterà limare i costi della politica..
A cura di Luca Spoldi
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Nel giorno in cui il neonato governo Letta riceve un’ampia fiducia anche al Senato (233 sì, 59 no e 18 astenuti) dopo aver incassato ieri quella della Camera dei Deputati, il neopremier frena rispetto alle dichiarazioni di buoni propositi di ieri: sull’Imu, in particolare, “vale quello che ho detto qui in aula”, ossia si cercherà di fare un provvedimento per bloccare il pagamento della prima rata di giugno, per poi affrontare il tema del riordino della tassazione stessa con un secondo e più specifico provvedimento che non potrebbe nascere nell’arco di pochi giorni. Dunque stop ai pagamenti ma per ora la tassa resta (anche sulla prima casa) in attesa di capire quali siano i margini di manovra. Margini che si capiranno meglio dopo il “propedeutico” viaggio a Berlino, a Bruxelles e a Parigi (per salvare la forma dopo aver badato alla sostanza), capitali da cui già oggi sono arrivati i primi “distinguo” come quello del portavoce del Commissario Olli Rehn secondo cui “gli obiettivi di bilancio per l’Italia non cambiano e il nuovo governo dovrà dire come intende rispettarli senza nuovo indebitamento”.

Così mentre dopo il “volemose bene” anche in Parlamento qualche esponente del centro-destra prova a far ripartire il solito balletto a base di “o si leva l’Imu o si leva Letta”, la vera domanda che resta dopo il discorso programmatico del neopremier italiano è una sola: dove prendere i soldi per una manovra (abolizione dell’Imu sulla prima casa, congelamento del preventivato aumento di un punto percentuale dell’Iva, riduzione del cuneo fiscale sul lavoro e correzione della riforma Fornero sul mercato del lavoro stesso) che solo tra Imu e Iva rischia di costare tra i 10 e gli 11 miliardi di minori entrate fiscali. Se non sarà possibile ricorrere a nuovo debito sarà giocoforza necessario ridurre di altrettanto la spesa pubblica, sapendo che il taglio dei “costi della politica” non basterà visto che il costo del Parlamento è stimato attorno a 1,1 miliardi di euro l’anno e che anche tenendo conto di Regioni, Province ed enti locali non si arriva ai 20 miliardi l’anno, rispetto ad una spesa pubblica complessiva di quasi 800 miliardi a fine 2011.

Il problema, in attesa che vedere una qualche ripresa che tornando a far crescere il Pil consenta un aumento “indolore” delle entrate fiscali, è che molte voci di spesa appaiono difficilmente comprimibili (come nel caso della sanità, che pesa per oltre 116 miliardi di euro l’anno, o dell’istruzione, attorno ai 66 miliardi) mentre altre, come la spesa per interessi su un debito pubblico di poco inferiore ai 2.000 miliardi di euro (in tutto pari a poco meno di 75 miliardi di euro considerando un costo medio del debito pari al 3,678% rappresentato dal Rendistato) dipendono molto dal mutevole umore dei mercati finanziari e non sono dunque una voce stabile nel tempo. Certo, in questi giorni i mercati mostrano il loro volto benigno e continuano a registrare un calo dei rendimenti richiesti dagli investitori per sottoscrivere nuovi titoli di stato, dando dunque un certo margine di manovra a Enrico Letta. Ma quanto a lungo potrà durare questa “luna di miele” dipende anche dalla sensazione di autorevolezza che il governo saprà trasmettere coi suoi primi passi.

Per questo pare apprezzabile la prudenza mostrata oggi più di ieri dai membri del governo, come il ministro per gli Affari regionali Graziano Delrio che a proposito di Imu ha precisato: “L’Imu verrà sospesa per la rata di giugno con l’impegno ad alleggerirla soprattutto per i meno abbienti”, aggiungendo che “il lavoro sarà fatto con il Parlamento, non possiamo sapere il punto di approdo” e che rispetto alla rimodulazione complessiva della tassazione “c’é un problema di liquidità dei Comuni che affronteremo”. Già, perché nel momento in cui si andrà a rimodulare alcune tasse si dovranno tener conto anche degli effetti che si potranno avere nei bilanci pubblici a livello sia nazionale sia locale, altrimenti si rischia che ciò che viene concesso “generosamente” da un lato venga subito richiesto dall’altro, con impatto pressoché nullo sul portafoglio delle famiglie italiane.

Insomma: meglio un governo che nessun governo e molto meglio un governo filo-euro e filo-Europa che non uno ostile all’Unione europea, mMa non basterà enunciare una serie di provvedimenti da libro dei sogni per vederli realizzati, se non si deciderà, responsabilmente, di ridefinire i contorni dello stato sociale, se non si alleggerirà l’economia dalle troppe pastoie burocratiche, se la moralizzazione politica non si coniugherà a una ritrovata voglia di efficienza e concorrenza. Tutte cose che all’inizio fanno male a chi ha rendite da difendere, ma a medio termine fanno bene a tutti: in fondo meglio un bicchiere che possa essere mezzo pieno per la stragrande maggioranza degli italiani che non correre il rischio di vederlo del tutto vuoto per avere cercato di averlo completamente pieno. Una logica molto post-democristiana che sembra però farsi lentamente strada dopo oltre vent’anni di forte contrapposizione “ideologica” tra centro-sinistra e centro-destra. Anche in questo senso il governo Letta sembra in grado di rappresentare meglio di chi lo ha preceduto lo spirito dei tempi, se basterà per ridare prospettive al paese lo vedremo a breve.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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