I dubbi di Nichi Vendola, la poca visibilità di Bruno Tabacci, le evidenti difficoltà di Pippo Civati (e non solo), la confusione sui nomi di Laura Puppato e Stefano Boeri: sono tante le incognite sulle candidature di quello che si annuncia come l'appuntamento centrale per il futuro a breve e medio termine del Partito Democratico. E, considerati anche i ritardi su regole, deroghe e date, a ben guardare l'unica certezza è quella che a giocarsi la vittoria saranno Matteo Renzi e Pierluigi Bersani. Due personaggi così lontani, diversi e per certi versi antitetici. Due visioni completamente divergenti dell'Italia, della politica e del partito. Un duello che riassume le tante contraddizioni del centrosinistra, i tanti limiti, ma anche le grandi risorse e i molti pregi di una classe dirigente che con buona probabilità (o, per meglio dire, in un modo o nell'altro) sarà chiamata a guidare il Paese nel dopo Monti. Abbiamo cercato di capirci qualcosa in più, provando a focalizzarci su 10 questioni, su 10 spunti "particolari" (e rimandando la questione "programma" che merita un discorso a parte per una serie di ragioni).
Quanto conta l'età nella corsa alle primarie?
Non suoni come un aspetto di secondo piano, ma la differenza anagrafica è destinata ad avere un peso piuttosto rilevante, non fosse altro che per un aspetto, per così dire, emozionale. Da una parte il trentasettenne Sindaco di Firenze, dall'altra il 61enne segretario democratico. Da una parte un amministratore, dall'altra un uomo di apparato (poco conta che la realtà sia più complessa e ricca di sfumature). Da una parte un volto "nuovo", dall'altra un uomo in prima linea nel momento più drammatico della politica italiana. Una differenza che il rottamatore fiorentino sta cercando di evidenziare il più possibile e che certamente risulta significativa. Ma che non può preoccupare più di tanto Bersani, convinto di rappresentare gran parte della base storica del partito, tra l'altro quella tradizionalmente più disponibile a "mobilitarsi".
La comunicazione politica è la chiave della sfida?
Bersani – I limiti della comunicazione bersaniana sono apparsi sempre evidenti, tanto da farne il bersaglio preferito della satira (in rete e non solo). Dalla citazione di "Un senso" di Vasco Rossi, al criptico "Conosci i tuoi?", dai manifesti in bianco e nero ("eppure il fotografo giura che la pellicola era a colori", tanto per citare un memorabile Corrado Guzzanti), ad una certa sottovalutazione dell'impatto mediatico – emotivo di alcuni dettagli, la sensazione è che il "compagno Pierluigi" abbia ancora molto da lavorare. Sempre che riesca a comprenderne il valore.
Renzi – Della comunicazione di Renzi e di quanto ricordi lo stile di Barack Obama ne ha parlato con competenza Giovanna Cosenza, qui ci sentiamo solo di sottolineare alcuni aspetti: la maniacale attenzione ai dettagli, il rimando a concetti di "cambiamento" e "speranza" ed il richiamo pieno di valenza simbolica ai valori di onore e fiducia (non si sottovaluti la citazione della legge scout). In questo senso la partenza della sua campagna elettorale è stata un successo senza se e senza ma (ma del resto c'era da attenderselo dopo le prove generali fatte al Big Bang della Leopolda).
Ma come parlano il Sindaco Renzi ed il compagno Bersani?
Bersani – Le "metafore spettacolari" del segretario (la definizione è di Dario Franceschini) sono ormai parte integrante della politica italiana, così come la sua autoironia è caratteristica assai apprezzata dai democratici. Da questo punto di vista il registro comunicativo di Bersani è particolarmente interessante. In primo luogo per il rilievo dato (inconsapevolmente?) alla funzione emotiva, con un uso quasi ossessiva delle interiezioni e delle esclamazioni ("oh", il leggendario "siam pazzi?" e via dicendo). Ma soprattutto per l'insistenza con cui rincorre l'aspetto fàtico della sua comunicazione, la voglia di creare una connessione psicologica con i destinatari del suo discorso ("ci capiamo?", "non va mica bene questa roba qua"). Che non è un limite, tutt'altro.
Renzi – Funzione conativa e funzione poetica sembrano essere i due aspetti cardine del "linguaggio renziano". Convincere e far sognare. Suggerire e immaginare. Va detto però che il richiamo alle suggestioni veltroniane rischia di essere piuttosto fuorviante, proprio per la capacità del Sindaco di Firenze di variare registro con grande rapidità, passando dal tono colloquiale a quello "poetico", dal pragmatismo toscano all'utopia "romantica". I risultati finora sono estremamente confortanti, con l'effetto finale che è quello dell'immagine di un leader carismatico, intuitivo e cordiale al tempo stesso.
Quanto conta andare in televisione?
Bersani – Il segretario democratico ci ha sempre messo la faccia. Questo è un dato. Un vanto, ma anche un errore se si considera che spesso il prodotto finale dell'omogeneizzazione televisiva ha restituito agli elettori un'immagine vecchia, stantia, prestandosi come pochi ad una "catalogazione qualunquista" che ha finito per far passare in secondo piano anche il "merito" degli interventi di Bersani. Ne sono un esempio i botta e risposta con gli operai e con "gli alfieri dell'anti – politica" nei talk show televisivi. Insomma, per farla breve: Bersani (che pure padroneggia il mezzo televisivo meglio di tanti altri) non buca lo schermo, convince e motiva il "suo" popolo, ma difficilmente riesce a far breccia nello spettatore "prevenuto" (la maggioranza).
Renzi – Va detto che difficilmente il rottamatore riesce a giocare in casa, con pubblico favorevole e giornalisti "teneri". Senza dubbio sui tempi e sui modi degli interventi sembra poter lavorare ancora (l'eccesso di "giovanilismo" spesso è un limite e il tono colloquiale a volte mortifica alcuni concetti). L'ultimo esempio ad Otto e Mezzo dalla Gruber: una mezz'ora serrata, ma poco incisiva se confrontata ad esempio con il discorso tenuto poche ore fa davanti ai suoi sostenitori. Ma Renzi si consoli: non sarà la televisione a decidere la sfida delle primarie (e forse lui lo sa già…).
Ma che ruolo avranno i social network?
Renzi – Quasi 150mila followers su twitter, altrettanti fan su facebook e tantissimi gruppi locali di sostegno. Eppure la sensazione è che sui social network Matteo Renzi non abbia ancora espresso tutto il suo potenziale. Basti guardare la differenza in termini di lavoro, valenza e centralità fra il suo sito personale e i suoi profili "social". Insomma, il candidato "social" per eccellenza ha margini enormi di miglioramento. Anche perché la lezione di Obama necessita di essere seguita alla lettera…
Bersani – Se ne è discusso tanto e l'impressione è che il segretario sconti anche molti errori non suoi. Bersani ha meno followers su twitter (130mila) e meno fan su facebook (80mila) rispetto a Matteo Renzi, ma il livello di interazioni sembra tutto sommato simile. Il problema è che non si capisce in che modo il segretario possa dare la svolta e a quale modello si ispira la sua campagna di comunicazione "social". Insomma, la "battaglia in maniche di camicia" l'ha già combattutta e gli esiti non sono stati poi così esaltanti.
Bersani – E' il segretario. Ha in mano le chiavi dell'apparato (con le figure cardine dei responsabili comunicazione e organizzazione) e a lui risponde larghissima parte degli amministratori e dei dirigenti territoriali. Dovrebbe bastare in un partito qualunque per blindarne l'elezione in una consultazione interna. Non nel PD, dove il peso delle correnti (e del riposizionamento su scala territoriale di capibastione e aspiranti tali) è decisamente rilevante. E non con le incognite di una consultazione aperta. Resta ovviamente il vero vantaggio di Bersani sui suoi avversari (unitamente alla possibilità di negoziare le regole da una posizione di forza).
Renzi – In questi mesi ha lavorato sodo per compattare il proprio fronte all'interno del PD, riuscendo discretamente a coinvolgere amministratori locali e in minima parte alcuni dirigenti territoriali. Appare però destinato a fallire quasi certamente il tentativo di coalizzare tutte le correnti critiche verso l'attuale dirigenza democratica (vecchie ruggini e troppa distanza sui temi). Su questo campo però Renzi sa che non può esserci partita e continua a presentare la sua candidatura come "di rottura", "controvento", "fuori dagli schemi tradizionali": una scelta obbligata, ma che paradossalmente potrebbe essere ripagata dal consenso dei tanti militanti critici verso i vertici e la dirigenza democratica (anche a livello locale).
Quanto pesa il tema delle alleanze?
Renzi lo ha ribadito più volte: Un PD a vocazione maggioritarie, ma le alleanze sono legate ai programmi e dunque le decidano i cittadini. Un modo diverso per "non esporsi" e dribblare alcune questioni cruciali, ma anche un approccio abbastanza debole su una questione ritenuta vitale per tanti elettori.
Bersani è invece più diretto: alleanza "più o meno organica" con Sinistra Ecologia e Libertà, nessun margine di manovra con l'Italia dei Valori, apertura condizionata alla cosiddetta società civile e valutazione "successiva" per quanto riguarda la convergenza con l'Unione di Centro di Casini. Una scelta più chiara ma non per questo meno soggetta a critiche e perplessità.
Quanto incide l'appoggio al Governo Monti?
Bersani – Il segretario democratico sostiene in Parlamento il Governo Monti. E questo è un fatto politico. Bersani poi è convinto della necessità che Monti continui ad avere un ruolo per il Paese. E questa è una valutazione di rilievo. Bersani infine ritiene che la responsabilità del PD sia il modo migliore per servire il Paese. E questo è quasi un indirizzo programmatico. Quanto poi elettori e militanti riescano a capire le sottigliezze e a comprendere in pieno il sostegno "condizionato e condizionante" ai tecnici, resta davvero tutto da verificare.
Renzi – Anche il Sindaco di Firenze ritiene necessario che Monti abbia un ruolo "di rilievo" dopo le politiche del 2013. Però il giudizio è, per così dire, meno ambiguo e più pericoloso: Monti ha lavorato bene, restituendo credibilità al Paese e facendo riforme condivisibili, ma non ha restituito speranza al Paese. Anche in questo caso, probabilmente contano i sondaggi e l'apprezzamento che la figura di Monti incontra "nonostante tutto": certo è che la base democratica non è poi così tenera nel giudicare l'operato del Governo…
Che ruolo avrà il "rapporto" con gli avversari politici?
Bersani – Il segretario ha sempre avuto il dono dell'ironia e questo è un suo innegabile segnale di forza. Da un punto di vista personale sono in pochi a potergli contestare "connivenze e convergenze" con gli avversari politici. Il punto è che il PD è stato comunque al centro di "inciuci e trattative" di ogni sorta, dalla sopravvivenza del Governo Monti alla riforma della legge elettorale e smarcarsi ora appare operazione complessa. L'amicizia con Casini e la rinuncia alla foto di Vasto poi potrebbero anche pesare nel giudizio della base militante, specie quella vicina ai sindacati.
Renzi – Da quando accettò l'invito di Berlusconi ad Arcore, il Sindaco di Firenze ha fatto fatica a scrollarsi di dosso l'etichetta di "persona gradita" al centrodestra. Un problema per chi deve necessariamente convincere la base democratica, ma anche una possibilità per chi crede che esistano delusi del centrodestra ed indecisi di centro pronti a passare nel campo del centrosinistra, fosse pure per il breve volgere di una consultazione elettorale. La sola certezza è che Renzi non rappresenta proprio il compagno di viaggio ideale per Vendola, Di Pietro e simili.
Chi vincerà la battaglia delle primarie?
Bersani – Il segretario parte con i favori del pronostico, ma gli ultimi sondaggi sono estremamente preoccupanti. Il punto è che molto dipenderà dalle modalità con cui si andrà al voto (una competizione aperta lo sfavorisce), dalla presenza o meno di altri candidati (l'assenza di Vendola rischia di essere un problema, mentre altre candidature di "protesta" potrebbero danneggiare Renzi) e sugli effetti a breve termine della campagna elettorale. E' chiaro che il segretario punta sul doppio turno e sulla capacità di mobilitazione degli apparati del partito, ma sottovalutare l'effetto dell'onda "emotiva" della candidatura di Renzi può essere un errore fatale.
Renzi – Il Sindaco di Firenze pare rinfrancato dagli ultimi sondaggi e comincia seriamente a credere nel colpaccio. In caso contrario, non si accontenterà di fare la minoranza e punterà in ogni caso a rompere gli schemi tradizionali del rapporto maggioranza – minoranza. La speranza di Renzi è in effetti quella di intercettare la sfiducia nei confronti della classe dirigente del PD e attrarre anche tanti "delusi in cerca di una nuova casa politica". Prospettiva affascinante, ma un cammino che resta in salita.