Matteo Renzi ha già la vittoria in tasca, nessuna partita per gli avversari, gli sfidanti alla segreteria del Partito Democratico Michele Emiliano e Andrea Orlando. O almeno questa è la sensazione che si aveva aggirandosi per il salone del Lingotto che ha ospitato la tre giorni convocata dall'ex presidente del Consiglio per lanciare ufficialmente la sua candidatura a segretario del partito, il clima che si respira è quello della vittoria, una vittoria certa. Nessun dubbio, né tra i sostenitori dell'ex segretario ed ex presidente del Consiglio, né tra i suoi sodali, i cosiddetti renziani doc. La bruciante sconfitta dello scorso 4 dicembre sembra acqua passata, incassata e archiviata. I renziani hanno voltato pagina e vogliono ricominciare, rifondando il Partito Democratico e mettendo al centro dell'iniziativa politica il riformismo, un riformismo che ha in mente di riappropriarsi di temi molto cari alla destra, come la legalità e la sicurezza.
Il nuovo corso renziano sembra non essere affatto diverso dal precedente e infatti, a distanza di ormai tre settimane dalla kermesse torinese, Renzi sembra essere sempre più convinto di avere la vittoria in tasca. E ha ragione, la vittoria è praticamente certa. Incassato un 68% di preferenze durante la prima fase di congresso svoltasi nei vari circoli territoriali, Matteo Renzi è ormai lanciato alla volta delle vere e proprie primarie che si svolgeranno il prossimo 30 aprile, praticamente certo della riconferma a segretario del Partito Democratico e, di conseguenza, a candidato presidente del Consiglio per il Pd e per l'eventuale coalizione di centrosinistra che si presenterà alle prossime politiche. Insomma, la débacle del 4 dicembre sembra non aver scalfito l'ego e l'individualismo accentratore del segretario che nei fatti ha portato, a causa dell'incapacità di instaurare un dialogo interno, alla scissione del Partito Democratico e alla fuga della minoranza dem.
Ormai è assodato: Matteo Renzi vincerà le primarie del Pd e tornerà in sella al partito, difficile prevedere una sconfitta dato il grande vantaggio accumulato nella prima fase congressuale. Nonostante le primarie siano aperte a tutti, vien difficile pensare che qualcuno possa riuscire a risicare e ribaltare quell'ampissima forbice di consenso accumulata dall'ex presidente del Consiglio, nemmeno nel caso i bersaniani e la sinistra dem decidessero in blocco di presentarsi ai gazebo per sostenere il candidato meno divisivo e più apprezzato, Andrea Orlando.
Renzi è convinto di avere la vittoria in tasca, ma i sondaggi della maggior parte degli istituti demoscopici italiani danno ormai da qualche settimana il Partito Democratico in caduta libera, sotto la soglia del 30% e ben al di sotto di quel 40% che Renzi nel corso degli ultimi tre anni ha sempre sbandierato, dalle elezioni europee del 2014 fino al fallito referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre, e considerato un proprio patrimonio di consenso. La scissione, le lotte intestine e la conseguente fuga della minoranza dem dal Partito Democratico ha disperso e drenato una piccola parte di consenso, percentuale che però è vitale per il Pd in ottica governativa. Il Partito Democratico è visto dagli elettori potenziali come un partito ripiegato su se stesso, lontano dai problemi del Paese e focalizzato quasi solamente sulle proprie vicissitudini interne. Mdp, così come Campo Progressista di Pisapia, hanno inoltre fatto capire, chi più velatamente e chi un po' meno, di non essere aperti a un'eventuale coalizione con un Pd di corso renziano in ottica elettorale, reputando quel corso dall'approccio presuntuoso ed esclusivista un po' troppo distante dal reale sentire di sinistra, quel corso che dopo 3 anni di tira e molla, di liti e di diktat ha portato a diversi esponenti ad abbandonare la nave e rifugiarsi in altre formazioni politiche.
Gli intenti a 12 mesi dalle elezioni politiche ovviamente lasciano il tempo che trovano, ma i consensi drenati dalla scissione al momento appaiono reali e irrecuperabili dal Pd di Matteo Renzi, soprattutto perché una riconferma tornerebbe ad acuire le distanze e la renziana predisposizione a inibire il dissenso interno. Nonostante l'ex segretario ed ex presidente del Consiglio abbia effettivamente la vittoria alle prossime primarie ormai in tasca, questa vittoria potrebbe però portare alla morte non tanto e non solo del Partito Democratico, ma della coalizione di centrosinistra, che finirebbe per frantumarsi definitivamente e, di riflesso, servire su un piatto d'argento al Movimento 5 Stelle la possibilità di scalzare definitivamente il Pd dalla guida del Paese.