"Il Pd doveva andare oltre l'Ulivo e invece ha tagliato il suo tronco originario. Ma il ceppo è ancora vitale e la linfa spinge verso l'alto. Il progetto ha funzionato tra i militanti e nell'elettorato, che è appassionato e intelligente. Sarà anche imbattibile, quando troverà una classe dirigente all'altezza del compito. Ma di questo riparleremo al congresso". Con queste parole Walter Tocci, al termine di una lunga riflessione sulla scelta di sostenere il Governo Monti anticipa quella che sarà la discussione sul futuro del Partito Democratico. Perché, per paradossale che possa sembrare, più che la piattaforma ideologica, più che la base programmatica, ora il vero discrimine è sui nomi, sulla classe dirigente. Una riflessione che parte dall'incredibile risultato delle elezioni politiche, quando la poco gioiosa macchina da guerra di Bersani si è ingolfata ed è stata quasi raggiunta al traguardo, nonostante partisse con 10 giri di pista di vantaggio e nonostante agli avversari mancassero benzina e pilota. Una corsa "non vinta" anche perché il pilota si è ostinatamente rifiutato di accelerare e ha deciso di aspettare (ed inseguire all'indietro) cavallerescamente il suo avversario principale, con il quale è stato poi costretto a formare un'altra scuderia.
E sulla necessità di un netto segnale di discontinuità con le esperienze passate insistono, sia pure con idee e prospettive diverse, anche Fabrizio Barca e Matteo Renzi. I due si sono incontrati ieri a Firenze, senza poi rilasciare dichiarazioni ufficiali. È chiaro a tutti però che l'obiettivo dei due è comune: impedire che la reggenza post bersaniana diventi un trampolino per la blindatura del Partito al prossimo Congresso. In gioco non vi è solo la sopravvivenza della classe dirigente che ha sostenuto Bersani e ha traghettato il Pd verso le larghe intese, ma la possibilità stessa che il Partito Democratico esca dall'impasse e si ripresenti come forza propositiva ed attrattiva. Per questo i due, pur partendo da basi (ideologiche, politiche, programmatiche) distanti, stanno provando a gettare le basi di un percorso comune, con un obiettivo nemmeno tanto nascosto. La formula è quella della "complementarietà", ovvero della loro possibile coesistenza, magari, come profetizzano in molti (sia pure con larghissimo anticipo) con la proposta di un ticket: partito a Barca, guida della coalizione a Renzi.
"Tra me e Renzi vedo complementarietà e vedo certamente un comune impegno a lavorare nel Pd. Non so se al partito serva un segretario subito […] ma la sinistra deve riguadagnare la capacità di avere un tempo disteso per capire gli errori compiuti e in che direzione andare". Questa in sostanza la linea di Barca che tradotta significa: ci interessa poco la fase di reggenza, il vero obiettivo è e resta il Congresso. E Renzi e Barca ci saranno, probabilmente a braccetto, come ricorda Allegranti su Europa: "Tra i renziani però inizia a farsi largo un’ipotesi: «Se lo schema è: ai democrat la candidatura per la presidenza del consiglio e ai socialdemocratici la guida del partito, a noi va bene. Molto meglio Barca del funzionario del Pci Gianni Cuperlo alla guida del Pd», dice un uomo vicino al Sindaco".
Ovviamente gli ostacoli al progetto (solo tratteggiato finora, giova ricordarlo) restano enormi e rimandano in gran parte alla struttura del Pd ed al futuro del Governo Letta. Perché gli organismi dirigenti democratici restano saldamente nelle mani dei bersaniani – lettiani ed al Congresso si arriverà probabilmente con la reggenza di uno fra Cuperlo, Epifani o addirittura Errani. Ma soprattutto perché bisognerà capire fino a che punto i renziani si sono esposti nell'appoggio al Governo Letta e quale sarà il ruolo dell'attuale Presidente del Consiglio nella ricostruzione del Partito. Già, perché le possibilità che Letta si faccia da parte senza combattere restano tendenti allo zero. E Renzi e Barca avranno la forza e le capacità per opporsi politicamente ad un Presidente del Consiglio in carica?