Il Partito Democratico quindi sceglie di non scegliere. Nella direzione di oggi il "reggente" Maurizio Martina annuncia che per il congresso c'è tempo e promette di essere più morbido del suo predecessore e ribadisce la linea di nessuna possibile alleanza con il Movimento 5 Stelle. La direzione che doveva segnare il cambio di passo quindi è solo un timido stallo, alla finestra per vedere quello che sarà. Il tema del giorno comunque rimane l'assenza dell'ex presidente del consiglio (ed ex segretario del partito) che ha deciso di non presentarsi in direzione e che, com'è nella sua natura, ha già indossato i panni del dimissionario "per responsabilità" ma non riesce a trattenersi dal lasciare intendere che il ritorno rimane possibile.
Matteo Renzi oggi è a piena pagina con un'intervista sul Corriere della Sera, ha inviato una newsletter avvelenata agli scritti del suo sito (sapendo bene quanto sia un gesto politico ma rifugiandosi nella simulazione di un gesto personale) e insiste nella sua personale chiave di lettura (distorta) di una realtà da cui appare completamente sconnesso. "Siamo passati da 13 milioni di voti del referendum ai 6 milioni di domenica scorsa", dice Renzi intervistato da Cazzullo, dimostrando di non avere ancora elaborato la sconfitta del referendum costituzionale (e il suo "con il No al referendum è difficile dare un governo stabile al Paese" dice chiaramente quanto sia stato irresponsabile scrivere una legge elettorale dando per scontato che la propria visione fosse quella popolare). Poi, al solito, confonde la lettura del Paese con le proprie piccole vendette personali: "Io non parlo male di loro; li rispetto, li difendo. E se qualcuno ha cambiato idea su di me, è libero di farlo" riferito a suoi papabili successori alla segreteria, "vedo in giro qualche fenomeno spiegare che abbiamo sbagliato tutto; però non riescono a dirci perché, nelle regioni che governano loro, il Pd è andato peggio della media", "hanno avuto più articoli sui giornali che voti nei seggi" riferito agli scissionisti e chiude con un patetico "fare il senatore della mia terra sarà un grande onore" per ammantarsi (senza riuscire ad essere) di umiltà.
Nella sua newsletter invece cambia registro, incapace di mantenere la linea per più di qualche ora. Con l'artificio retorico della lettera di un suo fan a cui fa dire ciò che non può permettersi di dire («Ma perché ti sei preso delle responsabilità che tu non hai? Guai a te – scrive il suo sostenitore Paolo, che Renzi riporta fedelmente – se la dai vinta a quei franchi tiratori dei finti amici, che pur di fare un dispetto al comandante della nave, hanno forato lo scafo, dimenticandosi che c'erano a bordo anche loro. Fai pulizia in casa, caccia via chi non ti merita e poi vedrai") e poi risponde netto: "Caro Paolo, io non mollo. Mi dimetto da segretario del Pd come è giusto fare dopo una sconfitta. Ma non molliamo, non lasceremo mai il futuro agli altri. E quando penso che in Italia ci sono persone come te, innamorate della vita e talmente coraggiose da non aver paura di sfidare malattie devastanti, ti dico che sono orgoglioso di averti conosciuto. E di lottare insieme a te. Abbiamo perso una battaglia, caro Paolo, ma non abbiamo perso la voglia di lottare per un mondo più giusto". Parole che ognuno ovviamente può leggere come preferisce (e come gli torna più comodo).
Ma in direzione niente: Renzi è il convitato di pietra di un organo di partito che ancora una volta evidentemente merita meno sforzo di tutte le parole riversate nel ultime 24 ore. Come al solito: lui c'è come gli fa più comodo così smentirsi sarà più facile. Tanto alla fine il suo peggiore fidato consigliere è sempre lui.