Nella lunga e confusa campagna elettorale per il referendum sulla riforma della Costituzione che si terrà il 4 dicembre, è da qualche settimana entrato un nuovo elemento: la presunta incompatibilità del consiglieri delle regioni a Statuto speciale con la carica di senatore, che sostanzialmente escluderebbe dal nuovo Senato i rappresentanti di Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Valle d'Aosta, Sardegna e Sicilia. Si tratterebbe di un vulnus grave dell’intero impianto della riforma che porta la firma del Presidente del Consiglio Matteo Renzi e del ministro delle Riforme Maria Elena Boschi, tanto più perché potrebbe determinare un vero e proprio stallo istituzionale, bloccando a lungo l’operatività del nuovo Senato.
Ma andiamo con ordine e proviamo a capire di cosa stiamo parlando.
La questione è stata sollevata in Senato da Roberto Calderoli, con un intervento in Aula con il quale paventava il rischio che le Regioni a Statuto speciale non potessero esprimere senatori nel caso in cui passasse la riforma della Costituzione del Governo. Spiegava l’ex ministro del Governo Berlusconi:
“Oggi ho rivelato all'aula del Senato l'ennesimo buco che riguarda tutte le Regioni a statuto speciale che, per i relativi statuti, prevedono che l'ufficio di consigliere regionale sia incompatibile con quello di membro di una delle Camere, questo a partire dallo statuto siciliano, che addirittura nasce prima della Costituzione italiana, e a seguire lo stesso discorso vale per la Valle D'Aosta, per il Trentino Alto Adige, per il Friuli Venezia Giulia e per la Sardegna. E ricordo che gli statuti delle Regioni speciali possono essere modificati solo con una legge costituzionale e solo dopo un'intesa con la Regione stessa. È evidente che se mai questa riforma dovesse essere approvata il Senato, organo costituzionale e quindi obbligatorio, non potrà essere rinnovato”.
La risposta della senatrice del PD Anna Finocchiaro era stata piuttosto sbrigativa: “Se la riforma costituzionale entrerà in vigore occorrerà una modifica degli Statuti, che avverrà con legge costituzionale su intesa con le Regioni interessate. A meno che Calderoli non ritenga possibile che ci siano Regioni a statuto speciale che non vogliano mandare i propri rappresentanti a comporre il Senato”. Tanto sbrigativa quanto equivocabile, come vedremo.
La domanda, a questo punto è una: nell'attesa che venga approvata la revisione degli Statuti, come da riforma, le cinque Regioni interessate avranno i senatori?
Salvatore Curreri sull’Huffington Post non ha dubbi: “In questo caso, è la materia "composizione del Senato", tipicamente costituzionale, che non ammette che fonti diverse dalla Costituzione possano disciplinarla diversamente. Quindi, qualora la riforma fosse approvata, l'art. 57, in base a cui il Senato è composto anche da consiglieri regionali, prevarrebbe sulle disposizioni contrarie contenute negli Statuti speciali (come l'art. 3 dello Statuto siciliano), in forza del principio della superiorità gerarchica della Costituzione sugli Statuti nei suoi principi fondamentali. Ed è innegabile che quello della composizione del nuovo Senato sia un principio supremo dell'ordinamento costituzionale”. Dunque, la riforma costituzionale prevarrebbe sugli ordinamenti regionali in base a un presupposto per così dire “gerarchico”.
Ma se anche così non fosse, aggiunge Carlo Fusaro (professore di diritto all'Università di Firenze, schierato per il Sì alla riforma Boschi), “a parità gerarchica delle fonti prevale il criterio cronologico, la norma successiva prevale sulla precedente”. Dunque, “non c'è alcuna necessità di modificare gli statuti delle Regioni interessate”.
Tesi condivisa anche dal professor Pace, presidente del Comitato per il No, come riporta Paudice sempre su HuffPo: “In base all'articolo 39 comma 13 della legge Boschi alle regioni a statuto speciale non si applica il nuovo articolo 117, relativo alle competenze legislative delle Regioni, ma si applica ad esse il resto della legge”. Insomma, nessun problema per i consiglieri delle Regioni a statuto speciale per accedere alla carica di senatore.
Calderoli sottolineava però anche un altro punto: “Bisognerà adeguare gli statuti, con quattro passaggi parlamentari e il parere della Regione interessata, ma questo adeguamento farebbe venire meno la clausola di salvaguardia e a quel punto il previsto esproprio di tutte le funzioni per le Regioni ordinarie si estenderebbe anche a quelle a statuto speciale che avranno modificato il loro statuto”. In pratica, non solo si andrebbe incontro a una situazione di stallo determinata dalla necessità che le Regioni a Statuto speciale modifichino il loro statuto, ma ci sarebbe il rischio di un cambiamento “strutturale” delle stesse Regioni, che potrebbero perdere le loro funzioni speciali e sostanzialmente diverrebbero “come le altre”, venendo coinvolte nella redistribuzione delle competenze determinata dalla riforma.
La questione è però controversa e, sul punto, si registrano interpretazioni e orientamenti diversi. Di certo, si tratta di un aspetto che gli estensori della riforma hanno sottovalutato, considerando che, nella "migliore delle ipotesi", sarà comunque necessario aggiornare gli statuti di 5 Regioni. Andrà fatto con una legge costituzionale "d'intesa con le Regioni interessate", come prescrive l'articolo 116 della Costituzione (e della Riforma).
Dalla maggioranza renziana fanno sapere che, in caso di vittoria del Sì, si procederà a modificare lo Statuto delle Regioni interessate con una apposita legge costituzionale. L’intera operazione non dovrebbe richiedere molto tempo, aggiungono, poiché non c’è alcun interesse nell’inserire nell’apposita legge costituzionale “norme ulteriori” rispetto alla cancellazione dell’incompatibilità fra la carica di consigliere regionale e quella di senatore.
Non è dello stesso avviso il deputato sardo Mauro Pili, di Forza Italia, che spiega: “La clausola di incompatibilità con il mandato parlamentare è una norma costituzionale contenuta nello Statuto sardo e per rimuoverla serve una procedura costituzionale che durerà non meno di un anno. Un cavallo di Troia che farà scattare l’applicazione della riforma e quindi la cancellazione della Specialità autonomistica della Sardegna. L’adeguamento della carta autonomistica farà scattare la revisione su tutto il titolo IV e V e le norme sull’accentramento delle competenze allo Stato”.
Ma cosa prevede la riforma Renzi – Boschi, oltre le interpretazioni dei diversi attori politici? Ecco, prima di tutto la legge modifica l'articolo 116 della Costituzione, sostituendo integralmente il terzo comma con la seguente dicitura:
Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui all'articolo 117, secondo comma, lettere l), limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace, m), limitatamente alle disposizioni generali e comuni per le politiche sociali, n), o), limitatamente alle politiche attive del lavoro e all'istruzione e formazione professionale, q), limitatamente al commercio con l'estero, s) e u), limitatamente al governo del territorio, possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, anche su richiesta delle stesse, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all'articolo 119, purché la Regione sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio. La legge è approvata da entrambe le Camere, sulla base di intesa tra lo Stato e la Regione interessata.
Fino alla revisione degli Statuti delle cinque Regioni cosa succede? Lo spiega il comma 13 dell'articolo 39 della riforma Renzi – Boschi, che sostanzialmente garantisce l'esistenza delle Regioni a statuto speciale:
Le disposizioni di cui al capo IV della presente legge costituzionale non si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano fino alla revisione dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, e sino alla revisione dei predetti statuti speciali, alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome si applicano le disposizioni di cui all'articolo 116, terzo comma, ad esclusione di quelle che si riferiscono alle materie di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, nel testo vigente fino alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale e resta ferma la disciplina vigente prevista dai medesimi statuti e dalle relative norme di attuazione ai fini di quanto previsto dall'articolo 120 della Costituzione; a seguito della suddetta revisione, alle medesime Regioni a statuto speciale e Province autonome si applicano le disposizioni di cui all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, come modificato dalla presente legge costituzionale
Le Regioni a statuto speciale, dunque, continueranno a esistere, con le stesse funzioni. Fino a che non sarà conclusa la negoziazione con lo Stato, almeno.