Referendum in Catalogna: ecco perché Barcellona vuole rendersi indipendente da Madrid
A Barcellona e dintorni si è svolto domenica 1 ottobre il referendum per l'indipendenza della Catalogna dalla Spagna, con la vittoria schiacciante del fronte del "Sì". Molte sono state le polemiche: il governo di Madrid, guidato dal premier conservatore Mariano Rajoy, ha definito sin da subito la consultazione illegale e contraria alla Costituzione, sottolineandolo già prima del voto con una maxi operazione di polizia che ha portato al sequestro di schede e altro materiale refererendario e all'arresto di 14 persone legate al governo locale.
Non è la prima volta che la Catalogna prova a separarsi definitivamente da Madrid e le ragioni del suo desiderio di indipendenza sono da ricercarsi in una storia lunghissima, che affonda le radici addirittura nel Settecento e che è tornato almeno da un decennio al centro del dibattito politico iberico. Ecco allora tutto quello c'è da sapere sull'eventuale voto, sui precedenti e sugli scenari futuri che potrebbero aprirsi anche nel resto d'Europa.
Cos'è la Catalogna: territorio e sistema politico autonomo
Prima di capire i motivi che si nascondono, neanche troppo velatamente, dietro la richiesta di indipendenza della Catalogna dal governo centrale spagnolo, bisogna sapere che questa regione, a Est della Penisola Iberica, è già una delle comunità autonome della Spagna, riconosciute dalla Costituzione del 1978 entrata in vigore alla fine della dittatura di Francisco Franco e che trasformò il Paese in una monarchia parlamentare. Il suo sistema politico è regolato, oltre che da questo testo, anche da uno Statuto di autonomia, votato e approvato nel 2006. In origine, comprendeva non soltanto il territorio di Barcellona, ma tutti quelli in cui il catalano era la lingua ufficiale, come la Comunità Valenzana, le isole Baleari e la frangia d'Aragona. Oggi, è una delle aree più produttive di Spagna, ha un proprio Parlamento, composto da 135 membri, attivo dal 1980 e che può legiferare su materie non di competenza della Costituzione di Madrid, e di un proprio governo, la Generalitat de Catalunya. Tuttavia, non ha un sistema fiscale autonomo, per cui tutte le imposte vengono versate al governo centrale spagnolo, che ha il compito di amministrarle.
La guerra di successione e il sogno dell'indipendenza
Prima della guerra di successione spagnola, che si combatté tra il 1701 e il 1714, la Catalogna sperimentò forme di autonomia, come sottolineato dagli storici locali. Poi, la vittoria dei soldati che appoggiavano Carlo VI d’Asburgo contro i difensori di Barcellona, composti dalla Coronela, l’esercito regolare catalano, mise fine ai sogni di indipendenza, sancendo di fatto la vittoria della corona di Castiglia: era l'11 settembre 1714, che ancora oggi è celebrato come il giorno di orgoglio nazionale dei catalani, la cosiddetta "Diada". Nel 1922 nacque il primo partito per l'indipendenza della Catalogna, ma non ebbe vita facile prima con il dittatore Primo de Rivera e poi con Francisco Franco, che inaugurò una fase di dura repressione del "catalanismo": fu cancellata l’autonomia della regione e venne anche impedito l’utilizzo della lingua catalana a favore del castigliano. Nel 1979, però, alla morte dello stesso Franco, con l'approvazione della costituzione spagnola, la Catalogna fu riconosciuta come comunità autonoma ed ebbe anche uno statuto che stabiliva i termini di questa nuova forma di amministrazione locale e che è rimasto in vigore fino al 2006, quando è stato inaugurato un nuovo testo che garantiva alla regione una maggiore libertà decisionale, anche e soprattutto in campo finanziario.
Il referendum simbolico del 2014 e la svolta di Puigdemont
Nel 2010, tuttavia, il Tribunale costituzionale spagnolo dichiarò incostituzionali alcune parti dello statuto del 2006, tra i quali quello in cui la Catalogna veniva definita una nazione, "una espressione, questa – si sottolinea – che non ha nessun valore giuridico". Da allora, il desiderio di indipendenza dei catalani è cresciuto sempre di più, sfociando spesso in scioperi e altre forme di dissenso nei confronti del governo centrale spagnolo, appoggiate da quasi tutti i gruppi politici al potere. Così, nel 2014, il governo locale decise di organizzare una "consultazione non referendaria", in cui chiedeva alla popolazione se fosse favorevole o meno all’indipendenza. Anche in quel caso, la votazione fu dichiarata incostituzionale da Madrid. Il fronte del "sì" aveva ottenuto l'80% dei voti, ma i promotori restarono delusi, perché l’affluenza (per un voto simbolico) era stata molto bassa: non superò, infatti, il 35%. Una nuova svolta nel rapporto tormentato tra Stato spagnolo e Catalogna si è avuta nel 2016, quando a capo del governo della regione è stato eletto Carles Puigdemont, di sinistra e apertamente indipendentista. È stato propio quest'ultimo lo scorso giugno ad annunciare il referendum "vincolante e senza quorum" previsto per l’1 ottobre 2017.
Il referendum dell'1 ottobre e i possibili scenari
Il 6 settembre 2017 il parlamento catalano ha approvato la legge regionale istitutiva del referendum con 72 voti a favore e 2 astenuti. I partiti contrari alla consultazione non hanno participato al voto. Il quesito su cui dovrebbero esprimersi i catalani è il seguente: "Vuoi che la Catalogna sia uno Stato indipendente sotto forma di Repubblica?". Ma già il giorno seguente, il Tribunale costituzionale ha sospeso il referendum e le norme correlate perché contrari alla Costituzione, secondo cui "la Spagna è una e indivisibile", accogliendo il ricorso d'urgenza presentato dal premier spagnolo Rajoy. Quest'ultimo ha poi ordinato a tutte le forze di polizia, compresi i Mossos d'Esquadra, cioè le autorità catalane, di impedire ogni tentativo di svolgimento del referendum e di sequestrare materiale di propaganda e computer destinati a questo scopo. Cosa succede ora? Gli scenari sono molteplici. A partire dal 3 ottobre dovrebbero avviarsi le procedure per la trasformazione della Catalogna in uno Stato autonomo, con tutte le conseguenze del caso, prima fra tutte un'automatica uscita dall’Europa.
Le reazioni dell'Europa al "caso Catalogna"
Il caso del referendum in Catalogna ha infiammato anche il dibattito politico del Vecchio Continente. L'Unione europea si è detta contraria alla consultazione. "Rispettiamo l’ordine costituzionale della Spagna come avviene con ogni Costituzione degli Stati membri", ha detto la portavoce della Commissione Ue, Margaritis Schinas. Tra i vari Paesi, è stata soprattutto la vicina Francia a dirsi contraria al progetto secessionista catalano, mentre in Italia c'è chi paragona quello che sta succedendo in Spagna alla situazione di Veneto e Lombardia, dove si svolgerà il referendum per l'autonomia il prossimo 22 ottobre. Bisogna tuttavia ricordare che il voto nelle due regioni italiane ha un valore esclusivamente consultivo e rimanderebbe comunque ad altre sedi politiche l’eventuale discussione sui limiti da porre allo statuto speciale – e non alla secessione – dei territori interessati.