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Opinioni

Reddito di cittadinanza di 780 euro al mese: si può fare?

Sul contrasto alla povertà il Governo ha fatto poco o nulla negli ultimi mesi, attacca la minoranza del Partito Democratico. E il Movimento 5 Stelle rilancia la battaglia per il reddito di cittadinanza (che in realtà è un reddito minimo garantito).
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Pochi giorni fa Beppe Grillo aveva rilanciato la proposta di reddito di cittadinanza del Movimento 5 Stelle, prendendo spunto dalla lettera inviata da Gianni Cuperlo a Matteo Renzi. L’esponente della minoranza del Partito Democratico “raccomanda” infatti al Presidente del Consiglio di riaprire la discussione su un “reddito di cittadinanza per chi è rimasto indietro o ai margini”, costruendo un tavolo e aprendo “al confronto anche alle forze di opposizione che potrebbero condividere una scelta di pura civiltà”. Giustamente Grillo ha fatto notare a Cuperlo che in realtà una proposta di legge per il reddito di cittadinanza già c’è, anche se alle richieste di calendarizzazione in Parlamento finora la maggioranza e le Presidenze hanno sempre risposto picche.

Ma qual è la proposta di reddito di cittadinanza del Movimento 5 Stelle?

Prima di tutto, quello grillino non è reddito di cittadinanza, ma una specie di reddito minimo garantito. Il reddito di cittadinanza, come notava Boeri su LaVoce, è un programma di contrasto alla povertà di tipo universalistico in cui la concessione del sussidio non è subordinata a un accertamento delle condizioni economiche e patrimoniali dell’individuo”. In sostanza, è una forma di sostegno “indipendente” dal reddito individuale e dalla condizione lavorativa, cui si ha diritto solo in quanto “cittadini”; tecnicamente, per farla breve, il reddito di cittadinanza propriamente detto spetterebbe anche ai super-ricchi.

La proposta cinquestelle, invece, assomiglia ad una sorta di reddito minimo garantito (ovvero “un programma universale e selettivo al tempo stesso, nel senso che è basato su regole uguali per tutti, che subordinano la concessione del sussidio ad accertamenti su reddito e patrimonio di chi lo domanda”), non limitato a specifiche categorie di lavoratori. Si tratta evidentemente di una misura di contrasto alla povertà, intesa a “sottrarre ogni individuo dall’ambito della precarietà al fine dell’ottenimento della redistribuzione della ricchezza e della salvaguardia della dignità della persona” (per capirci, una misura del genere è in vigore nella quasi totalità degli altri Paesi europei). 

Si immagina così di garantire ai beneficiari un reddito annuo netto pari a 9360 euro, dunque con un assegno mensile di 780 euro o di una cifra integrativa, nel caso in cui il beneficiario (quale unico componente di nucleo familiare) abbia già un reddito. Insomma, lo Stato garantirà ad ogni nucleo familiare il raggiungimento, anche tramite integrazione, di un reddito minimo in ordine alla soglia di povertà relativa, che per il momento è quantificata in 780 euro mensili netti (e sarà poi aggiornata in base al livello della soglia di povertà relativa stabilito dall’ISTAT).

A chi spetterebbe il reddito di cittadinanza del M5S

La platea dei beneficiari è disciplinata dall’articolo 4 della proposta di legge: tutti i cittadini italiani che percepiscono un reddito netto annuo inferiore ai 9360 euro netti e tutti i cittadini stranieri provenienti da Paesi che hanno sottoscritto accordi sulla reciprocità del sostegno previdenziale; nella fascia d’età che va dai 18 ai 25 anni è richiesto almeno un diploma o una qualifica professionale. I beneficiari avrebbero l’obbligo di fornire “immediata disponibilità al lavoro”, sottoporsi ad un colloquio di orientamento e intraprendere “il percorso di accompagnamento all’inserimento lavorativo”, che comporta l’offerta di disponibilità per “l’espletamento di attività utili alla collettività da svolgere presso il comune di residenza”, ma anche la ricerca attiva di un lavoro, tramite formazione e colloqui. Nel caso in cui un beneficiario rifiutasse tre proposte di lavoro “congrue” o sostenesse “più di tre colloqui di selezione con palese volontà di ottenere esito negativo” perderebbe il diritto al reddito di cittadinanza. Il totale dei beneficiari, a vari livelli, si aggira sui 9 milioni. 

La gestione, il controllo, l’organizzazione ed i controlli spetterebbero a diversi soggetti, Regioni, Comuni, centri per l’impiego, agenzia delle entrate ed Inps, ma tutto farebbe capo ad una struttura informativa centralizzata, che dovrebbe essere garanzia di trasparenza.

Le coperture del reddito di cittadinanza

È questo uno dei punti più controversi dell'intero progetto grillino. Gli estensori della proposta di legge valutano in 17 miliardi all'anno il costo del provvedimento, immaginando peraltro che in caso di miglioramento complessivo del sistema Italia la cifra possa anche scendere, e sostengono di aver trovato le coperture sufficienti a farlo partire già dal prossimo anno. Cominciamo dalle modifiche nella distribuzione del carico fiscale: il modello ipotizzato in un primo momento (proposta del 2013) prevedeva un'aliquota del 43 percento per i redditi fra i 75mila e i 100mila euro ed una del 45% per i redditi oltre i 100mila euro, "in considerazione della eccezionalità della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea". Nella versione "moderna", invece, l'attenzione si sposta sulle pensioni d'oro, che saranno sottoposte ad un prelievo progressivo ed al divieto di cumulo. Resta poi l’imposta progressiva sui grandi patrimoni mobiliari e immobiliari di valore superiore a 2 milioni di euro (una patrimoniale che comprende anche auto, imbarcazioni e aeromobili). Si tratta di una patrimoniale “leggera”, dallo 0,5% per redditi tra 2 a 5 milioni di euro, fino al 2% per patrimoni superiori ai 15 milioni di euro. Via anche i fondi inoptati dell'8 per mille (che passano interamente al fondo per il reddito di cittadinanza) e stop al rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga (in questo caso c'è da tener conto della modifica già apportata dal Governo).

Queste le coperture “certe”, quanto al resto, invece, la discussione è apertissima. A cominciare dai 600 milioni previsti dalla tassazione dei giochi d’azzardo, cifra considerata non realistica dagli addetti ai lavori (qui vi abbiamo mostrato i limiti del prelievo fiscale sul sistema dei giochi), ma soprattutto ipotesi inapplicabile considerato che il Governo ha già la delega per ridisegnare il sistema fiscale dell’intero settore.

La proposta prevede poi anche un aumento delle tasse alle grandi imprese del petrolio e del gas per un totale di 1,2 miliardi di euro: il tutto “senza che si verifichi un aumento dei prezzi al consumo”, possibilità guardata con un certo scetticismo dagli analisti. Sulla spending review invece la partita è aperta, nella consapevolezza però che in larga parte si tratterà di provvedimenti una tantum e non sistemici. Sulla scia di quanto ipotizzato in prima battuta dallo stesso commissario Cottarelli (il cui piano è caduto nel dimenticatoio, probabilmente anche per la “radicalità” delle misure suggerite), i grillini propongono tagli di 3,5 miliardi alle spese militari (in aggiunta alla mini spending fatta in casa, prima dal ministro montiano Di Paola, poi dalla Pinotti), con la revisione delle spese per le missioni internazionali in primis e la dismissione di mezzi e patrimonio immobiliare della difesa. Dalla Pubblica Amministrazione dovrebbero arrivare risparmi per altri 1,2 miliardi di euro, con una serie di micromisure: riduzione delle indennità parlamentari, eliminazione enti inutili, taglio agli affitti della P.A., taglio alle spese di consulenza della P.A., taglio auto blu. Infine, si immagina un intervento sulle pensioni, con lo stop ai cumuli ed il taglio delle pensioni d’oro.

Le critiche a questo insieme di interventi sono sostanzialmente di carattere "politico" e "tecnico". Manca in effetti una certa "organicità" alle misure suggerite per recuperare risorse: gran parte degli interventi sono già in cantiere (e attengono a comparti molto diversi fra loro) e una quota dei risparmi previsti è già "impegnata"; inoltre, a sentire alcuni analisti, per la portata dell'investimento per le casse dello Stato, con la necessità di intervenire in ambiti differenti (rinunciando tra l'altro a progetti avviati, come la delega fiscale, la dismissione del patrimonio pubblico eccetera), si configurerebbe come una vera e propria manovra aggiuntiva. Una mini – finanziaria, in pratica, che renderebbe necessario l'intervento del Governo. E c'è infine scetticismo (per usare un eufemismo) sulle coperture ipotizzate dai grillini.

Per tirare le somme, dunque, siamo di fronte ad una proposta articolata e complessa, che certamente rappresenta una traccia dalla quale partire per una discussione seria, vera e urgente sul contrasto alla povertà. Sulle modalità (e sulle coperture), infatti, servirebbero un confronto ed un approfondimento maggiori (anche per non ripetere gli errori del passato, con le fallimentari sperimentazioni a livello regionale). Ma più di tutto, servirebbe la volontà politica di prendere decisioni, anche impopolari, per la redistribuzione della ricchezza.

Servirebbe, insomma, un cambio di paradigma, un capovolgimento radicale dell'idea di governo del Paese. Il problema è che il contrasto alla povertà non rappresenta una priorità per il Governo. Lo stesso ministro Poletti, qualche settimana fa, aveva spiegato come siano “allo studio” provvedimenti in favore di incapienti e pensionati, che vadano oltre la conferma dei fondi della social card e l’aumento del fondo per le politiche sociali. Per ora però l’esecutivo di Matteo Renzi ha bocciato anche una misura di reddito minimo universale per i poveri, del tipo Sostegno all’inclusione attiva (una proposta della commissione Guerra durante il Governo Letta) e ha addirittura escluso dal nuovo assegno di disoccupazione “i poveri talmente sfortunati da non avere avuto né un lavoro regolare, né la nuova prestazione sociale per l’impiego, il Naspi”. Raccoglierà la sfida, almeno a ragionare, sul reddito minimo?

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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