Reddito di cittadinanza, dal 6 marzo via alle domande: rischio code e caos
Si entra nella settimana decisiva per il reddito di cittadinanza: da mercoledì 6 marzo sarà infatti possibile inoltrare le richieste per accedere al sussidio introdotto dal governo. Ma a poche ore dall’avvio della misura, i dubbi e i problemi rimangono tanti. A sottolinearne alcuni è il Corriere della Sera, che evidenzia il rischio code – e caos – alle Poste, dove in molti si presenteranno per inoltrare la domanda. Così gli uffici postali si sono attrezzati: “Per una migliore gestione delle richieste del reddito di cittadinanza vi invitiamo a presentare le domande in funzione del cognome dei richiedenti”, è il cartello riportato in un ufficio postale di Roma, nel quartiere Garbatella, secondo quanto riporta il Corriere. C’è quindi un elenco, con una suddivisione sulla base della lettera per cui inizia il cognome: sette gruppi in sette giorni. Si parte da A e B il 6 marzo, e così via fino al 13. Ma “le domande presentate in un giorno diverso da quello previsto dal calendario verranno comunque accettate”: regole, quindi, non troppo ferree.
Si tratta di una disposizione dell’azienda che ha però diverse applicazioni, come dimostra ancora il Corriere: in un altro ufficio, a via Arenula, sempre nella Capitale, l’avviso c’era ma è stato tolto. “Ci hanno detto che quella regola non vale più”, spiegano. A Testaccio il cartello è nascosto: “Non sappiamo se sarà davvero così oppure no, in ogni caso metteremo un numeretto elimina code dedicato”. Anche se pare che il numeretto non ci sarà, secondo l’azienda, per non identificare chi chiede il reddito. Poste pone un altro problema, riguardante la sicurezza: ha chiesto al ministero dell’Interno se nei primi giorni di presentazione delle domande sarà possibile avere agenti davanti agli uffici postali. Difficile da realizzare, considerando i quasi 13mila uffici in tutta Italia. Da mercoledì le domande verranno inoltrate anche attraverso i Caf, per provare ad alleggerire il lavoro delle Poste. E anche attraverso il sito internet, per chi deciderà di presentare richiesta in autonomia.
Un altro nodo viene evidenziato dal Messaggero: l’Inps impiegherà dieci giorni per verificare l’idoneità dei richiedenti. Ma l’esito dei controlli non verrà comunicato prima del 28 marzo: entro quella data il decreto diventerà legge. I problemi riguardanti i controlli però ci sono: a partire dalla modalità di accesso e condivisione dei dati tra le amministrazioni. I Comuni sono in ritardo e non esiste una rete per una verifica incrociata e immediata dei dati. E i paletti – come quello riguardante i dieci anni di residenza in Italia – sono stringenti. C’è poi da stabilire il parametro per il monitoraggio delle spese attraverso la tessera erogata per il reddito di cittadinanza. E, ancora, va stilata la lista dei paesi extra-Ue da cui è impossibile ricevere la documentazione richiesta e tradotta in italiano per i cittadini stranieri. Per concludere ci sono anche i navigator: il bando per reclutarli è ancora in alto mare.
L’ex presidente Anpal: ‘Da Di Maio pressioni insostenibili’
A due giorni dalla partenza del reddito di cittadinanza, parla – in un’intervista a Repubblica – anche Maurizio Del Conte, ex presidente di Anpal, l’Agenzia per le politiche attive del lavoro che ha un ruolo di primissimo piano nel reclutamento dei navigator e nel funzionamento della misura. Del Conte si dice sollevato per non essere più il presidente, perché “la pressione era diventata insostenibile. A un certo punto hanno tentato di attribuirmi la responsabilità per un presunto ritardo nell’istruttoria per il reddito di cittadinanza”. La colpa sarebbe del ministro del Lavoro, Luigi Di Maio: “Mi intima di fare presto con l’assunzione dei 6mila navigator con una lettera del 19 febbraio. Io rispondo il 21, spiegando che non solo così si crea una catena di precarietà in Anpal servizi, portando i collaboratori da 1.100 a 7.100. Ma che si rischia una situazione di illegittimità e inoperabilità”.
Del Conte parla del rischio di danno erariale: “Se contrattualizzi 6mila persone le devi far lavorare e pagare. Altrimenti butti mezzo miliardo in due anni. Ed è danno erariale. È inimmaginabile procedere senza un patto con le Regioni, i padroni di casa dei centri per l’impiego”. Nonostante questo, Di Maio gli avrebbe risposto “di andare avanti comunque, a prescindere dalle Regioni”. “Alle mie osservazioni tecniche e giuridiche il ministro non risponde più”, spiega ancora l’ex presidente di Anpal descrivendo la situazione che si era venuta a creare e la tensione con Di Maio.