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Opinioni

Che senso ha il reato di negazionismo?

Dopo lo stop in Commissione Giustizia, si riaccende il dibattito sulla possibilità di approvare il ddl sul reato di negazionismo. Ma siamo sicuri si tratti di un provvedimento sensato?
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La discussione ruota "tecnicamente" intorno al disegno di legge presentato da senatori afferenti a diversi gruppi parlamentari (Pd, Pdl, Scelta Civica, Movimento 5 Stelle e Sel) per la modifica dell'articolo 3 della legge n.654 del 13 ottobre 1975 in "materia di contrasto e repressione dei crimini di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale". La questione è semplice e (come capita decisamente troppo spesso) risponde all'esigenza di inviare un messaggio chiaro in relazione al riemergere di "suggestioni", collegate al caos intorno alla morte ed alla tumulazione di Erich Priebke. Ecco, a fronte delle tensioni e delle polemiche, la politica si è mossa con tempestività, ripescando un disegno di legge presentato a marzo, prima del "solito" caos delle dinamiche parlamentari (relativamente alla sede deliberante) con la trasmissione degli atti dalla Commissione all'Aula del Senato che ne ritarderà la discussione e la probabile approvazione. Uno stop che, sia detto per inciso, eviterà almeno l'approvazione "emergenziale" di un provvedimento comunque controverso.

Ma in cosa consiste nel dettaglio la proposta? Il disegno di legge consta di un unico articolo, che modifica la succitata legge n. 654 nella parte relativa alle sanzioni e stabilisce la "reclusione fino a tre anni e la multa fino a 10.000 euro per chiunque pone in essere attività di apologia, negazione, minimizzazione dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale, ratificato ai sensi della legge 12 luglio 1999, n. 232, o propaganda idee, distribuisce, divulga o pubblicizza materiale o informazioni, con qualsiasi mezzo, anche telematico, fondati sulla superiorità o sull’odio razziale, etnico o religioso, ovvero, con particolare riferimento alla violenza e al terrorismo, se non punibili come più gravi reati, fa apologia o incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, anche mediante l’impiego diretto od interconnesso di sistemi informatici o mezzi di comunicazione telematica ovvero utilizzando reti di telecomunicazione disponibili".

Nella premessa si parla esplicitamente di contrastare quelle forme di negazionismo e minimizzazione dei fenomeni di genocidio che "costituiscono uno degli aspetti più odiosi delle pratiche razziste" e si cita, probabilmente per anticipare le obiezioni sul "diritto di opinione" (questione lunga e complessa), la decisione quadro del Consiglio Europeo in base alla quale "razzismo e xenofobia costituiscono violazioni dirette dei princìpi di libertà, di democrazia e di rispetto dei diritti dell’uomo". Ma il dibattito sulla necessità di una legge sul reato di negazionismo resta, al netto della considerazione che altri Stati europei adottano misure simili.

La questione è davvero complessa e ci sembra doveroso ribadirlo, pur nel premettere che ogni pretesa di liquidare come superflua la discussione sui confini della legittimità di un revisionismo che spesso porta con se i germi della mistificazione e della propaganda appare davvero poco degna di considerazione. Così come ugualmente banali appaiono le asserzioni sulla "storia scritta dai vinti", che spesso servono solo a colmare le lacune e le incongruenze di ricostruzioni storiche alternative.

Ma nella diversità delle posizioni sono due gli orientamenti "di merito e metodo" che hanno senso e che meritano di essere riportati. La lettura che fa ad esempio Guido Caldiron sul Manifesto,spiegando da dove trae origine la necessità di un intervento legislativo in materia: "La verità è che il negazionismo si è trasformato nel corso del tempo nell'ultima frontiera dell'estrema destra, quella più radicale e apertamente nostalgica che ritiene che la riabilitazione postuma del nazismo e dei suoi alleati potrebbe aprire la strada ad una sorta di riedizione di quei terribili fenomeni".

Un approccio radicalmente diverso è quello degli "storici di professione". Il merito di aver ripescato una lettera aperta scritta e firmata nel 2007 dai più importanti storici italiani (in relazione ad un intervento sul tema del Governo Prodi) è dei Wu Ming, per un contenuto che resta decisamente attuale e che spiega il perché bisognerebbe evitare una soluzione basata sulla minaccia della legge. Il punto è che non ha particolarmente senso "affrontare e risolvere un problema culturale e sociale certamente rilevante (il negazionismo e il suo possibile diffondersi soprattutto tra i giovani) attraverso la pratica giudiziaria e la minaccia di reclusione e condanna". Il rischio non è solo quello di regalare una eco mediatica al negazionismo, ma è anche quello di far passare in secondo piano "la tensione morale necessarie per fare diventare coscienza comune e consapevolezza etica introiettata la verità storica della Shoah".

Le contraddizioni e gli errori del ragionamento impostato dal Governo (allora) e dal Parlamento adesso sono così riassunti:

  1. si offre ai negazionisti, com’è già avvenuto, la possibilità di ergersi a difensori della libertà d’espressione, le cui posizioni ci si rifiuterebbe di contestare e smontare sanzionandole penalmente.
  2. si stabilisce una verità di Stato in fatto di passato storico, che rischia di delegittimare quella stessa verità storica, invece di ottenere il risultato opposto sperato. Ogni verità imposta dall’autorità statale (l’“antifascismo” nella DDR, il socialismo nei regimi comunisti, il negazionismo del genocidio armeno in Turchia, l’inesistenza di piazza Tiananmen in Cina) non può che minare la fiducia nel libero confronto di posizioni e nella libera ricerca storiografica e intellettuale.
  3. si accentua l’idea, assai discussa anche tra gli storici, della “unicità della Shoah”, non in quanto evento singolare, ma in quanto incommensurabile e non confrontabile con ogni altro evento storico, ponendolo di fatto al di fuori della storia o al vertice di una presunta classifica dei mali assoluti del mondo contemporaneo.

Insomma, si legge ancora nella lettera aperta firmata da molti fra i più autorevoli studiosi italiani: "L’Italia, che ha ancora tanti silenzi e tante omissioni sul proprio passato coloniale, dovrebbe impegnarsi a favorire con ogni mezzo che la storia recente e i suoi crimini tornino a far parte della coscienza collettiva, attraverso le più diverse iniziative e campagne educative. La strada della verità storica di Stato non ci sembra utile per contrastare fenomeni, molto spesso collegati a dichiarazioni negazioniste (e certamente pericolosi e gravi), di incitazione alla violenza, all’odio razziale, all’apologia di reati ripugnanti e offensivi per l’umanità; per i quali esistono già, nel nostro ordinamento, articoli di legge sufficienti a perseguire i comportamenti criminali che si dovessero manifestare su questo terreno".

Ecco, la battaglia è culturale, etica e politica. Ed è quasi un dovere rispondere ad un appello del genere.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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