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Opinioni

Rcs, la vicenda è più complessa di quel che sembri

La vicenda Rcs è sempre più emblematica di come funziona la logica dei salotti buoni italiani. Dove guadagnare dall’attività aziendale non è la prima preoccupazione dei soci di riferimento, che anche per questo fanno quadrato quando qualche outsider prova a scalzarli dal ponte di comando…
A cura di Luca Spoldi
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La vicenda Rcs Mediagroup? E’ una partita che per essere compresa fino in fondo va analizzata a più livelli. C’è un primo livello, evidente: cercare di mettere le mani sul Corriere della Sera non ha mai portato bene a chi non abbia goduto dell’appoggio di Mediobanca, il cui patron storico, Enrico Cuccia (morto ormai da 16 anni), finché visse impedì in tutti i modi che le due principali partecipate, Generali e Rcs Mediagroup, potessero cadere in “mani sbagliate”, ossia ostili alle grandi famiglie del capitalismo italiano.

Lo sa bene Stefano Ricucci, immobiliarista che da poco più del 2% posseduto a fine 2003 era arrivato a controllare il 13,5% di Via Solferino nel maggio del 2005, quando un titolo Rcs era arrivato a valere21,08 euro prima di ridiscendere a 14 euro nell’ottobre di quello stesso anno.  Da lì in poi il titolo ha continuato a perdere terreno sino a oscillare tra i 5 e i 2 euro per azione nel periodo 2008-2013, quando ormai Ricucci era ampiamente fuori dai giochi, essendo rimasto coinvolto nello scandalo “bancopoli” relativo alle vicende finanziarie legate ad Antonveneta e a Bnl che indirettamente causò il fallimento della Magiste di Ricucci nel 2007.

Diversamente da Ricucci, Urbano Cairo, già socio di Rcs al 4,616%, un appoggio interno pareva averlo trovato in Intesa Sanpaolo, che ricopre il doppio ruolo di azionista col 4,176% di capitale e principale creditore con 162 milioni di euro di esposizione, pari al 38% dei 423,2 milioni che Rcs deve a un pool di banche composto anche da Ubi Banca (108 milioni di esposizione), Unicredit (54,4 milioni), Banca popolare di Milano e Bnp Paribas (40,6 milioni a testa) e Mediobanca (17,6 milioni).

Già il doppio ruolo di Intesa Sanpaolo, come pure di Mediobanca, schierata col suo 9,93% di capitale Rcs con la cordata che ha lanciato una contro offerta su Rcs (70 centesimi per azione in contante contro uno scambio “carta contro carta” di 0,12 azioni Cairo Communication per ogni azione Rcs, pari oggi a circa 53 centesimi), fa capire come attorno all’editore del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport (che per secondo alcuni poteva essere l’obiettivo originario a cui avrebbe mirato Urbano Cairo, presidente del Torino Calcio e già editore sia nel settore della carta stampata sia della televisione con La7) si stia consumando una vicenda ricca di “conflitti d’interesse” non soltanto potenziali.

Ma è guardando agli altri aderenti alla cordata che si oppone a Cairo che si possono scorgere i diversi livelli di questa vicenda. Anzitutto: il fondo di private equity Investindustrial di Andrea Bonomi, cui andrà il 45% della Newco che controllerà Rcs se la contro-offerta centrerà il bersaglio, era già socio al 12,5% di Retos Cartera, holding spagnola che rilevò a fine 2004 il 79% di Recoletos dal gruppo inglese Pearson per 743 milioni (sulla base di una valutazione del 100% di 941 milioni).

Recoletos fu poi acquistata da Rcs nel 2007 a caro prezzo (1,1 miliardi di euro a fronte di un fatturato 2006 di poco più di 300 milioni), ovvero venduta molto bene per Investindustrial e soci, sotto la regia degli advisor (per l’acquirente) Banca Leonardo e Mediobanca, mentre Andrea Bonomi entrò nel 2012 nel Cda di Rcs su “invito” degli eredi Agnelli e di Mediobanca (che lo “sponsorizzerò” anche l’anno successivo nel tentativo di mettere “in sicurezza” Bpm, tentativo poi vanificato dallo scontro coi soci-dipendenti che porteranno Bonomi a gettare la spugna pochi mesi dopo), solo per dimettersi nell’aprile del 2013.

Mediobanca per prima deve chiarire il perché di questa contrarietà a Cairo, se è vero, come dichiarò due anni fa al Pm Luigi Orsi (ricostruendo i suoi rapporti coi Ligresti, ex proprietari di FondiariaSai, finita poi in pancia a Unipol) il suo numero uno, Alberto Nagel, che la quota in Rcs, rilevata per liquidare l’ex amministratore di Fiat, Cesare Romiti, lo stesso Nagel non avrebbe mai voluto acquistarla, tanto meno a 4 euro come avvenne, perché riteneva non fosse “utile investire in un quotidiano”.

La sensazione è che non si tratti unicamente di valutazioni economiche, come potrebbe essere, secondo una fonte a conoscenza della vicenda, per gli altri protagonisti della cordata, ovvero UnipolSai (che rilevando FondiariaSai rilevò anche la sua quota in Rcs), la Pirelli di Marco Tronchetti Provera, con cui Bonomi avrebbe dovuto intrecciare un’alleanza entrando assieme al fondo Clessidra dell’ex numero uno di Fininvest, il banchiere d’affari Claudio Sposito (scomparso a inizio anno), ai vertici delle holding di controllo del gruppo (l’operazione sfumò dopo mesi di trattative) e Diego Della Valle.

Soci che hanno deciso di apportare rispettivamente il 4,601%, il 4,433% e il 7,325% di Rcs alla cordata Bonomi-Mediobanca nella speranza, anche, di un rilancio da parte di Cairo, rilancio che per la verità gli analisti di Kepler Cheuvreux ritengono difficile, sia che si tratti di migliorare il concambio da 0,12 “ad almeno 0,161” azioni Cairo Communication per ogni azione Rcs (superando così i 71 centesimi di valore implicito), sia mantenendo il concambio a 0,12 ma integrando l’offerta con 100 milioni di euro in contanti. La prima opzione farebbe infatti scendere la quota dell’imprenditore piemontese in Cairo Communication “dal 73% al 38% circa post deal”, la seconda “ridurrebbe la cassa di Cairo Communication a zero”.

Chi sembra poter guadagnare in entrambi i casi è il gruppo Agnelli la cui holdin di investimento, Exor, ha già ridotto al 4,79% (al 12 maggio scorso, quando Rcs già oscillava tra 60 e 62 centesimi in borsa) la partecipazione in Rcs rispetto al 6,444% posseduto dopo la distribuzione dei titoli da parte di Fiat Chrysler Automobiles ai suoi azionisti. Exor e il gruppo Agnelli, è un altro livello di lettura di questa complessa vicenda, possono comunque sperare che se Urbano Cairo getterà la spugna non ci sarà nessuno che vada a rivangare non solo la vicenda Recoletos ma tutte le decisioni che, con l’appoggio del gruppo di Torino oltre che di Piazzetta Cuccia, hanno finito col depauperare il valore di Via Solferino.

Decisioni come quella del 2003 di salire dal 52% all’82% ne “El Mundo” rilevando dal finanziare Jaime Castellanos l’ulteriore 30% con congrua plusvalenza per lo stesso Castellanos, assistito nella vendita da Lazard Italia alla cui guida si trovava all’epoca Gerardo Braggiotti, ex direttore di Mediobanca che rilevò poi nel 2006 proprio Banca Leonardo (che l’anno successivo “consigliò” Rcs nell’acquisizione Recoletos), divenendo consocio di alcuni dei più bei nomi della finanza europea tra cui gli stessi Agnelli (sempre tramite Exor). Ad acquistare Recoletos fu del resto Antonello Perricone, ex numero uno di Itedi-La Stampa-Publikompass (gruppo Agnelli) andato a sostituire sulla poltrona di amministratore delegato di Rcs Vittorio Colao, uscito di scena proprio perchè contrario a quell'acquisto.

Una vicenda, quella di Rcs, emblematica dei “salotti buoni italiani, dove guadagnare soldi con l’attività dell’azienda di cui si è soci sembra l’ultima preoccupazione degli azionisti di riferimento i quali semmai trovano più interessante poter tramite tali aziende cedere propri asset incassando cospicue plusvalenze, sapendo già che le minusvalenze che eventualmente emergessero per l’acquirente dopo qualche anno verrebbero condivise con una maggioranza fatta di piccoli azionisti. Se poi le aziende si riducono all’ombra di se stesse, come Seat Pagine Gialle o la stessa Rcs, si può sempre provare a lanciare un’Opa a prezzi di saldo e far ripartire la giostra: l’importante è difendere l’italianità delle aziende stesse. O no?

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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