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Rcs: la cura Jovane non funziona

Il 2013 è stato ancora un anno pesante per il gruppo Rcs, nonostante la cessione della sede di Via Solferino e il taglio ai costi del personale. E il 2014 non si presenta molto migliore nonostante qualche segnale di recupero…
A cura di Luca Spoldi
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La “cura Jovane” non funziona troppo bene: il 2013 di Rcs si chiude con l’ennesimo bagno di sangue, 218,5 milioni di perdita netta, certo meglio del 2012 quando la perdita netta aveva raggiunto i 507,1 milioni di euro ma molto peggio delle previsioni degli analisti, che mediamente si attendevano un rosso sui 150 milioni di euro. Il tutto mentre i ricavi netti hanno continuato a calare riducendosi dagli 1,513 agli 1,3148 miliardi di euro. Se poi si guarda al 2011, chiusosi con 322 milioni di euro di perdita netta a fronte di ricavi netti pari a 1,86 miliardi e se si pensa che nel triennio il patrimonio netto si è ridotto dai 702,7 milioni del 2011 ai 179 milioni di fine 2012 per risalire a 350,8 milioni lo scorso anno solo grazie all’aumento di capitale da 391,7 milioni eseguito a luglio, il senso della crisi attraversata dall’editore del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport è ancora più evidente.

Qual è il male oscuro di Via Rizzoli, al netto di un azionariato frazionato tra dieci soci principali di cui uno, il gruppo Agnelli, sembra da tempo voler procedere ad un’integrazione delle attività del gruppo milanese con le proprie (La Stampa Spa e la concessionaria pubblicitaria Publikompass, cui è già stata affidata la raccolta pubblicitaria del principale quotidiano italiano), mentre altri soci (a partire da Diego Della Valle) vi si oppongono e altri ancora (Urbano Cairo) sarebbero pronti, secondo indiscrezioni mai smentite, vuoi a rilevare la Gazzetta dello Sport vuoi a “farsi carico” della gestione di Rcs stessa? Certo troppi soci, con differenti visioni e interessi, sul ponte di comando non aiutano, tanto più dopo che, da fine ottobre, il patto di sindacato che per anni ha blindato il controllo del gruppo è stato lasciato cadere proprio per le divisioni ormai evidenti e che alcuni soci hanno iniziato a sfilarsi (come Mediobanca, scesa dal 15% a meno del 10%) o sembrano pronti a farlo (come il gruppo Pesenti che “per ora” non venderà il suo 3,8% ma non è detto lo mantenga molto a lungo).

Ma il problema è essenzialmente industriale: Rcs soffre della crisi della domanda interna italiana, che ha penalizzato l’andamento della raccolta pubblicitaria come le vendite del settore editoriale, di una cattiva diversificazione geografica (Recoletos, editore di El Munso, Marca ed Expansion, dopo esser stata acquistata per 1,1 miliardi nel 2006 dalla controllata spagnola di Rcs, Gruppo Unidad Editorial, è stata messa sul mercato da tempo ma non si trovano acquirenti), di una crisi “disruptive” del comparto editoriale mondiale che fatica a trovare nuovi ricavi e nuovi margini necessari a sostenere i costi di strutture nate con la carta e la televisione e che il web sta spazzando via.

Aver cercato di “tenere il passo” col cambiamento portato dal web attraverso operazioni eminentemente finanziarie come Recoletos (il cui 79% era stato comprato due anni prima dal gruppo Santander che aveva pagato al gruppo Pearson, l’editore del Financial Times, 743 milioni di euro per il 79%, pari a una valutazione di 941 milioni per il 100% del capitale), che l’allora amministratore delegato di Rcs, Vittorio Colao, non volle avallare, preferendo dare le dimissioni, è stato un errore strategico che dimostra come per qualsiasi azienda, anche un gruppo editoriale, sia importante essere guidato da imprenditori del settore più che da banche d’affari e capitalisti “di relazione” che probabilmente speravano di poter rivendere qualche anno dopo le stesse attività con un congruo margine di profitto a qualche altro gruppo europeo (anche se non era certo prevedibile la crisi mondiale che sarebbe esplosa di lì a un paio d’anni col collasso della banca d’affari Lehman Brothers prima e l’esplosione della crisi del debito sovrano poi che avrebbe penalizzato più di tutti proprio Spagna e Italia oltre a Grecia, Portogallo e Irlanda).

Per rilevare Recoletos il gruppo usò pesantemente le proprie risorse finanziarie attingendo alle linee di credito in essere: se il bilancio 2006 a fronte di un Ebitda (margine operativo lordo) di 278,4 milioni e di un utile di 219,5 milioni vedeva disponibilità liquide (ossia un debito negativo) per 5,5 milioni e un patrimonio netto di 1.240,1 milioni, l’anno successivo l’Ebitda cresceva a 360,3 milioni, l’utile netto però rimaneva inchiodato a 219,7 milioni, l’indebitamento netto schizzava a 966,2 milioni (ossia 970 milioni abbondanti più di un anno prima) e il patrimonio netto saliva a 1.388,3 milioni. E’ in quel momento che sarebbe dovuto scattare l’allarme, perché avere un indebitamento netto pari a più di quattro volte al risultato caratteristico lordo (l’Ebitda, appunto) è a dir poco rischioso. Se poi le attività in questione mostrano una redditività decrescente, come è stato il caso di Rcs (ma anche di Sorgenia per ricordare un altro caso di cui vi ho parlato di recente) la fine è il più delle volte già scritta e provare a vendere a pezzi i “gioielli di famiglia” come la sede storica di Via Solferino, finita al fondo Blackstone, o tagliare a più non posso i costi (a partire dal costo del lavoro) solo in pochi casi riesce a produrre altro che un rinvio dell’inevitabile. Tanto più se, come nel caso in questione, i soci nel frattempo litigano su tutto o quasi a partire da quanti soldi dover tirare fuori di tasca propria per cercare di rimettere la nave in condizioni di galleggiare.

Ad oggi Rcs è un’azienda ancora pesantemente indebitata (pur calando dagli 845,8 milioni di euro al 31 dicembre 2012, l’indebitamento netto a fine 2013 era ancora pari a 476 milioni), poco redditizia (l’Ebtida ante poste straordinarie si è ormai ridotto a 27,6 milioni rispetto ai 50,9 milioni di fine 2012), con un patrimonio che è stato già ridotto all’osso (179 milioni dai 702,7 milioni di fine 2012). Servirebbero nuovi investimenti, in particolare nel settore dei “new media”, servirebbe un quadro previsionale che indica bel tempo, ma se “i ricavi nel loro complesso sono previsti nel 2014 in crescita”, come recita una nota ufficiale, “anche per effetto del pianificato sviluppo delle attività digitali, trasversali a tutte le aree di attività del gruppo” e grazie all’attesa ripresa della raccolta pubblicitaria in particolare sulle testate sportive “derivante dai campionati mondiali di calcio 2014” e alla prevista “crescita dei ricavi pubblicitari digitali”, l’Ebitda ante voci straordinarie, pur previsto in forte crescita grazie ai tagli dei costi, dovrebbe nel migliore dei casi essere il triplo di quello dello scorso anno. Ossia attorno agli 80-85 milioni di euro.

Ancora troppo poco e sebbene Rcs preveda un debitoin contrazione rispetto al 31 dicembre 2013”, lo stesso gruppo editoriale deve ammettere che “si prevede un risultato netto ancora negativo sebbene in miglioramento rispetto a quanto registrato nell’esercizio 2013”. Il che probabilmente indurrà altri soci (magari Intesa Sanpaolo, che dopo essere uscita da Generali è uscita di recente anche dal capitale di Pirelli & C. ma che in Rcs ancora detiene il 6,54%) a valutare se non sia il caso di uscire da quello che è stato per anni il “salotto buono” per eccellenza, assieme a Mediobanca, del capitalismo “di relazione” italiano ma che continua a non produrre utili a fronte di un impegno di capitali. Anche perché Rcs ha già rinegoziato il proprio debito con le banche (Mediobanca e Intesa Sanpaolo, nella doppia veste di soci-creditori, Unicredit, Ubi Banca, Bpm e Bnl-Bnp Paribas) lo scorso anno e dunque difficilmente può sperare in ulteriori “sconti” e dovrà piuttosto cercare di alleggerirsi di qualche altra attività: nel caso sarà la Gazzetta dello Sport, le attività nel settore dei libri o Recoletos? E a che prezzo?

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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