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Raif Badawi, il blogger condannato a mille frustate per aver insultato l’Islam

La fustigazione di Raif è arrivata subito dopo la strage di Charlie Hebdo e ha provocato un acceso dibattito sulla libertà di espressione. Per lui si è già mossa Amnesty International Italia. La moglie: “Non resisterà ad altre frustate”.
A cura di Biagio Chiariello
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Per lui si è mossa Amnesty International Italia con un sit-in di fronte all'Ambasciata dell'Arabia Saudita a Roma (via Pergolesi 9). L’obiettivo è chiedere l’annullamento della condanna di Raif Badawi, il blogger e attivista saudita condannato a 10 anni di carcere e mille frustate per aver insultato l'Islam e aver violato le leggi sulle comunicazioni elettroniche. Una fustigazione che avrà una scadenza settimanale. Le prime 50 di mille gli saranno inferte domani. Le autorità saudite hanno reso noto che la seconda serie avverrà il 16 gennaio in una pubblica piazza di Gedda. E così via di settimana in settimana, in almeno altre 18 occasioni. La moglie Ensaf Haidar, che ora è in Canada, ha detto di temere che suo marito non sia in grado di sopportare fisicamente un secondo turno. "Raif mi ha detto che è distrutto dal dolore dopo la prima flagellazione". Per questo motivo Amnesty International Italia ha deciso di protestare. All’iniziativa hanno aderito la Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) e l’organizzazione per la libertà di stampa Articolo 21.

Il caso di Raif, Charlie Hebdo e la libertà di espressione

La condanna di Raif è arrivata subito dopo la strage di Charlie Hebdo, contribuendo ad inasprire il dibattito sulla libertà di espressione. La vicenda di Badawi e del suo sito web, Saudi Arabian Liberals, ha inizio nel 2008, quando il blogger viene arrestato una prima volta per apostasia: verrà scarcerato dopo pochi giorni, ma prima le autorità gli impediranno di lasciare il Paese saudita e in seguito bloccheranno i suoi conti bancari. A metà 2012, dunque, il nuovo arresto, quindi a dicembre la causa per apostasia viene inviata alla Corte di appello di Gedda. In particolare il dito è puntato contro i contenuti che ha pubblicato, tra cui un articolo per il quale è stato accusato di ridicolizzare la polizia religiosa del regno, la commissione per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio, e per non avere rimosso i messaggi "offensivi" postati da altri. Le autorità mettono al bando il sito web da lui creato, ma online sono circa 14mila le persone che hanno firmato una petizione per chiedere al re saudita Abdullah di graziare Badawi e di fermare quella che è stata definita “una forma medievale di tortura”. Oltre al carcere e le frustate, il 30enne deve anche pagare una multa di un milione di rial sauditi, pari a circa 200mila euro.

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