L'indagine che coinvolge Davide Boni (ed altre persone che a pieno titolo facevano parte del suo staff) sembrerebbe poter far luce su un sistema di corruzione vasto ed articolato. Un sistema che, al di là delle improponibili teorie complottiste dietro le quali si è trincerato lo stato maggiore della Lega Nord, sembra avere radici consolidate che affondano nel "magma" delle consulenze, degli appalti e di quella commistione inestricabile fra interesse pubblico e privato che determina le scelte a livello amministrativo. Ma ovviamente non si tratta di una novità in senso stretto, dal momento che solo poche settimane fa la relazione del Presidente della Corte dei Conti evidenziava come la corruzione ed il malaffare fossero ancora capillarmente diffuse a tutti i livelli della macchina amministrativa. Pur tuttavia, la questione appare dirimente per una serie di questioni e potrebbe (dovrebbe in realtà) spingere ad una seria riflessione.
Formigoni resiste (ma fino a quando?) – Malgrado la sicurezza dimostrata davanti alle telecamere, il Governatore della Lombardia è probabilmente cosciente che l'inchiesta che coinvolge Davide Boni potrebbe davvero travolgere l'intera amministrazione regionale. E del resto, non sembra convincente nè appropriata da un punto di vista "strettamente politico" la linea scelta finora, quella della "presunzione d'innocenza" (per carità, ci mancherebbe altro…), delle "responsabilità individuali (debole, per non dire improponibile) e della "Regione parte civile" (che non tiene conto del fatto che non si tratterebbe di episodi sporadici, ma di un sistema di corruzione diffuso ed articolato). Anche perchè Boni è il quarto amministratore della giunta Formigoni chiamato in causa in vicende giudiziarie di grande rilevanza, dopo gli arresti degli ex assessori Massimo Ponzoni, Franco Nicoli Cristiani e Piergianni Prosperini. Ed in effetti, su Repubblica Giannini ha buon gioco nel sottolineare che "in altri Paesi d'Europa ci si dimette per molto meno". Insomma, in ogni caso e a meno di una presa di distanza estremamente convincente, il clamore delle vicende rischia di essere un colpo decisivo all'immagine del Governatore (e alle sue residue aspirazioni di guidare l'intero fronte del centrodestra).
La Lega e la questione morale in salsa padana – La linea dei vertici del Carroccio è tutto sommato abbastanza scontata. In poche parole, la Lega pagherebbe l'opposizione al Governo Monti con la persecuzione giudiziaria. Una tesi che si inserisce nel solco della migliore tradizione berlusconiana, paradossalmente proprio nel momento in cui arriva la "certificazione" dello strappo forse non ricucibile fra il Carroccio e il Popolo della Libertà. Ma soprattutto una linea che non può in alcun modo convincere la base dell'elettorato leghista, sempre più insofferente nei confronti di una parte del gruppo dirigente del Carroccio e da sempre "affascinata" dalle sirene del giustizialismo. Una base elettorale che "rischia" di avere l'ennesima conferma della sostanziale adesione dei dirigenti e degli amministratori con la cravatta verde a quella "distorta concezione della pratica politico – amministrativa" contro cui si era battuta, sia pur con un sostanziale equivoco di fondo, fin dalle origini la macchina leghista. Una base che scopre la questione morale proprio nel momento in cui la Lega cerca legittimazione e consenso come unica opposizione dal basso al Governo Monti (che tra l'altro è davvero chiamato ad accelerare sul ddl anti – corruzione). Una base che, dopo aver digerito con difficoltà (ma senza mai far mancare il sostegno in cabina elettorale) i compromessi della parentesi berlusconiana, è costretta a rinunciare al mito della "diversità e purezza del politico padano". E che la Lega si scopra garantista soltanto ora è davvero un assurdo logico, prima che morale.