Mario Monti è disponibile a guidare nuovamente il Paese. E finanche a candidarsi "ufficialmente" alla Presidenza del Consiglio. Con chi sostiene e sottoscrive l'agenda Monti, sia chiaro. A grandi linee è questo il succo della lunga giornata di ieri, almeno per quel che riguarda la posizione del Professore. Ma, come notano praticamente tutti gli analisti, c'è un intero universo "oltre" le parole di circostanza del Presidente del Consiglio dimissionario. Un universo che affiora nelle battute, nelle frecciate, ma anche negli auspici e negli attestati di stima nei confronti di ministri e sodali. E che per tanti versi costituisce la vera essenza della svolta esplicitata nella conferenza stampa di fine anno.
Il sogno di Mario Monti – Su quale sia lo scenario "auspicato" dal Professore i dubbi sono sostanzialmente pochissimi. Un cartello elettorale dal PD all'UDC, passando per Italia Futura, Fli, l'area moderata del PDL ed una componente della società civile, che abbia come stella polare l'Agenda Monti e come carattere distintivo la continuità con l'esperienza precedente. Una grosse koalition in formato riveduto e corretto che "tecnicamente" otterrebbe la maggioranza sia alla Camera dei Deputati che al Senato della Repubblica (in tal senso, convergono tutte le simulazioni di voto). Una prospettiva che però difficilmente si concretizzerà, soprattutto per la ritrosia del Partito Democratico, che ha cementato l'intesa con SEL sia sul candidato a Palazzo Chigi che su una piattaforma programmatica che si discosta notevolmente da quella dell'Agenda Monti. Ed è questo uno dei limiti più evidenti della "proposta decente" del Professore: il testo elaborato non può essere sottoscritto a scatola chiusa dal blocco progressista, perché la distanza su alcuni "temi" è (o dovrebbe essere) siderale. Dai diritti civili (lacuna abissale del documento dei professori), alla politica economica, fino ad arrivare al nodo centrale: le politiche sul lavoro.
La CGIL ed il tentativo di rompere "il fronte" a sinistra – Proprio a partire dalla grande distanza fra i contenuti dell'Agenda Monti e l'impostazione della carta di intenti sottoscritta da PD – SEL – PSI è possibile individuare l'altro cruciale "non detto". Già, perché la rottura della (presunta) compattezza del fronte a sinistra è uno dei punti centrali dell'operazione Monti – bis. Ed è in questa ottica che vanno letti gli attacchi diretti alla Cgil ed i paletti nei confronti di Vendola (sia pure sotto forma di laconici commenti). Insomma, la preoccupazione del Professore e del suo entourage (nonché evidentemente quella di Casini e Montezemolo) resta quella di impedire una probabile vittoria elettorale (comoda alla Camera, difficilissima al Senato) del centrosinistra di Vendola, Camusso e Fassina, agitando (ma sostanzialmente dandogli estrema concretezza) lo spauracchio del "pareggio" e prospettando una exit strategy capace di tenere insieme bersaniani e renziani.
L'emarginazione di Berlusconi – Ad uscire con le ossa rotta dalla conferenza stampa di Mario Monti è stato essenzialmente Silvio Berlusconi (e prova ulteriore è stato il suo nervosismo, per certi versi surreale, durante l'intervista con Massimo Giletti). Sia dal punto di vista personale, con il tagliente commento di Monti sullo stato confusionale del Cavaliere, che da quello politico. Berlusconi è sostanzialmente ai margini della politica italiana, defenestrato senza troppi fronzoli dal campo moderato e costretto ad inseguire persino sul terreno della comunicazione. L'arrivederci e grazie del PPE era stata la prima avvisaglia, ma dopo la "salita in campo" di Monti c'è una sola certezza: il Cavaliere non è e non sarà il punto di riferimento dei moderati. E dovrà immaginare una campagna elettorale di stampo populista – massimalista: cosa che, seppur renderà felici i falchi pidiellini, certamente non lo aiuterà nei sondaggi, essendo il campo dei non allineati fin troppo affollato.