Quando Ciampi rifiutò il secondo mandato: “Sarebbe una monarchia repubblicana”
Carlo Azeglio Ciampi è morto oggi all’età di 95 anni, nella clinica romana in cui era ricoverato a causa del peggioramento delle sue condizioni di salute. L’ex Governatore della Banca d’Italia sarebbe potuto essere il primo Presidente della Repubblica a ottenere il doppio mandato, ma, a differenza di quanto fatto da Giorgio Napolitano, rifiutò tale proposta. Fu lui stesso a raccontarlo al taccuino di Marzio Breda sul Corsera: “Berlusconi venne nel mio studio, il pomeriggio del 3 maggio 2006, accompagnato da Gianni Letta, a implorarmi di accettare il rinnovo del mandato da capo dello Stato? Perché lo fece, se mi considerava un uomo di parte, di sinistra? […] Silvio Berlusconi si è sgolato per più di un'ora, quel giorno davanti a me, per scongiurarmi di restare al Quirinale, promettendomi il suo pieno appoggio”.
Del resto, in quei giorni convulsi, con l’impossibilità di arrivare a una mediazione sul suo successore e la scelta di affidarsi a Giorgio Napolitano, Ciampi si era già espresso: “L'unica mia aspirazione è di portare a termine con dignità il mandato che mi è stato affidato nel maggio del 1999. Voi sapete quale significato io attribuisca al termine dignità”. E, facendo riferimento alle sue condizioni di salute, aveva precisato: “Per fortuna l'anagrafe è dalla mia parte e in un certo senso scongiura l'eventualità di una riconferma da presidente”. Del resto, aveva chiosato, “raddoppiare il mandato sarebbe una specie di monarchia repubblicana”.
E chiarì il tutto con un comunicato sul sito del Quirinale:
"Sono profondamente grato per le molteplici dichiarazioni in favore della mia rielezione a Presidente della Repubblica, anche perché esse implicano una valutazione positiva del mio operato quale Capo dello Stato, garante dell'unità nazionale e custode dell'ordine costituzionale.
Interpreto questa convergenza di parti politiche diverse sul mio nome come disponibilità a quel civile confronto che – al di là delle naturali asprezze della dialettica politica, acuite dal recente momento elettorale – è premessa e condizione, indispensabili, della saldezza delle istituzioni e, quindi, della salute della Repubblica.
Tuttavia tali dichiarazioni mi inducono, per una esigenza di doverosa chiarezza, a confermare pubblicamente la mia "non disponibilità" ad un rinnovo del mandato, anticipata nel messaggio di commiato di fine anno.
Non ritengo, infatti, data l'età avanzata di poter contare sulle energie necessarie all'adempimento, per il lungo arco di tempo previsto, di tutte le gravose funzioni proprie del Capo dello Stato.
A ciò si aggiunge una considerazione di carattere oggettivo, che ho maturato nel corso del mandato presidenziale:
nessuno dei precedenti nove Presidenti della Repubblica è stato rieletto.
Ritengo che questa sia divenuta una consuetudine significativa.
E' bene non infrangerla.
A mio avviso, il rinnovo di un mandato lungo, quale è quello settennale, mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato."
Una scelta che teneva conto anche di alcune considerazioni fatte da costituzionalisti ed esperti, che riassumemmo qui al momento della rielezione di Napolitano:
Una durata maggiore di sette anni è apparsa ed è effettivamente eccessiva per una carica pur sempre così politicamente esposta ed impegnativa". Il punto è che costituzionalmente non si è ritenuto giusto disporre la non rieleggibilità alla carica per evitare una serie di inconvenienti legati alla "responsabilità dei soggetti politici", ma si è lasciato a ragioni di "opportunità della prassi" la determinazione delle forze politiche di non procedere ad una rielezione. Nei fatti la stessa forma repubblicana implica "elettività e durata temporanea" delle cariche politiche e proprio la durata di 7 anni è sembrata sempre "ragionevole affinché la carica non si trasformi in una elezione a vita mascherata" e impedire che il "Presidente stesso sviluppi una sua politica indipendente per un così gran numero di anni da divenire praticamente irresistibile".