Approfitto di un’altra giornata priva di particolari novità tanto sul fronte macroeconomico (dove semmai si è notato un dato leggermente migliore del temuto, con l’indice destagionalizzato della produzione industriale cresciuto in Italia nel mese di maggio dello 0,8% contro previsioni di consensus che si attendevano un calo dello 0,2%, anche se su base annua la produzione industriale resta in calo del 2%, ovvero del 6,9% una volta corretto l’indice degli effetti di calendario, contro il -9,3% di aprile e rispetto a previsioni pari a -8,3%) per completare il ragionamento iniziato ieri in tema di stretta del credito.
Come già detto ieri secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio sul credito al dettaglio curato da Assofin, Crif e Promteia a rallentare le erogazioni di mutui e di credito al consumo per le famiglie sarebbe da qualche tempo non solo la maggior prudenza delle banche ma anche la cautela di molte famiglie. Prima che andare a chiedere nuovi prestiti a tassi magari più alti di quelli già in essere chi ha ricevuto un finanziamento negli anni passati evita di muoversi, cosa che ha fatto crollare il mercato delle surroghe.
Ma, hanno subito commentato alcuni dei miei “piccoli fans”, la realtà di tutti i giorni sembra non correttamente rappresentata dalle statistiche: in particolare uno di loro, attivo nel campo delle erogazioni da 25 anni, mi fa notare che la domanda, “non crolla, anzi è in costante aumento e ciò a causa delle banche e finanziarie che hanno chiuso completamente i cordoni della borsa”. Riducendosi l’offerta “di conseguenza è aumentato anche il prezzo” per il servizio offerto, che ormai verrebbe proposto “con spread intorno ai 6-7 punti percentuali” rispetto al costo del rifinanziamento presso la Bce.
I tassi della Bce sono effettivamente stati ridotti ai minimi storici per evitare il collasso del sistema creditizio (1% fisso peri fondi a tre anni erogati tra dicembre e febbraio scorso con le due Ltro, 0,75% quello sulle operazioni di rifinanziamento principale e 1,5% i prestiti overnight a partire da domani a seguito del taglio di un quarto di punto annunciato la scorsa settimana), mentre Mario Draghi, capo della Bce, ha cercato ancora pochi giorni fa di incoraggiare le banche a prestare di più azzerando la remunerazione (finora pari allo 0,25% annuo) sui fondi depositati overnight presso la stessa Bce da parte delle banche europee (attualmente pari a circa 791 miliardi di euro).
Perché allora le banche non prestano maggiori somme di denaro? Si tratta di circoli di sadici e autolesionisti che rinunciano a guadagnare soldi erogando i propri servizi? No di certo, solo che la situazione tra totale dei prestiti e totale dei depositi è ancora squilibrata anche lo squilibrio appare in calo. Secondo Banca d’Italia infatti a fine aprile il totale dei prestiti erogati in Italia era pari a circa 2.009 miliardi di euro, a fronte dei quali esistevano depositi pari a poco più di 1.415 miliardi); in compenso il tasso di crescita dei prestiti bancari al settore privato è risultato a maggio pari allo 0,7% su base annua (il dato più debole degli ultimi 14 mesi), contro un tasso di crescita annuale dei depositi del settore privato salito al +2,1% dal +1,8% registrato ad aprile.
In particolare la crescita dei prestiti alle famiglie si è ridotta all’1,4% su base annua (dall’1,8% di aprile), mentre i prestiti alle società non finanziarie sono calati in assoluto: -0,4% dal +1,3% di aprile, il tutto a fronte di un tasso di crescita della raccolta obbligazionaria ridottosi all’11,4% (era risultato pari al 12,7% in aprile). Per contro i tassi d’interesse sui nuovi finanziamenti a società non finanziarie per importi superiori a 1 milione di euro sono rimasti stabili sul 3,13% (3,12% in aprile), mentre sui prestiti di importo inferiore sono calati al 4,68% dal 4,73%.
Dal lato dei ricavi bancari, per quanto riguarda i mutui, i tassi d’interesse, comprensivi delle spese accessorie, sui finanziamenti erogati alle famiglie per l’acquisto di abitazioni sono scesi al 4,33% (dal 4,37%), mentre i tassi sul credito al consumo sono saliti ulteriormente al 9,98% (dal 9,95%). Sul fronte degli oneri per le banche, i tassi passivi sul complesso dei depositi in sono a loro volta rimasti stabili e pari all’1,23% (1,22% in aprile), mentre il tasso di crescita delle sofferenze secondo Banca d’Italia è salito al 15,1% dal 14,6% di aprile.
Non voglio tediarvi oltre con numeri e cifre che occorrerebbe poi declinare per ogni istituto per capire il perché di certi comportamenti “commerciali”: di certo la situazione è molto variegata con qualche “big” che non sembra ancora muoversi su un terreno molto solido mentre altri gruppi paiono aver superato il momento più critico tanto da essere tornati di recente sul mercato con nuove emissioni “non secured”. Tuttavia nel complesso, come ricordavano alcuni giorni fa gli analisti di Morgan Stanley, le banche italiane continuano a pagare caro l’accesso al mercato (Intesa Sanpaolo, tra i gruppi più solidi, ha dovuto pagare uno spread di 410 punti base sul midswap, contro i 148 punti base pagati dalla francese Societe Generale, per il suo più recente bond triennale).
Così le banche italiane restano fortemente dipendenti dalla Bce (a fine giugno il totale dei fondi erogati da Eurotower agli istituti tricolori era pari a 281,44 miliardi, contro i 272,7 miliardi di fine maggio), mentre l’ulteriore “deleveraging” in atto (in questo ha certamente ragione l’amico lettore) rischia di avere ulteriori e negativi effetti su un’economia già indebolita e in piena recessione come quella italiana, che dunque si affida a “super Mario” (Draghi) per sperare di ricevere un minimo di conforto, in attesa che gli spread calino.
Per inciso oggi un Btp decennale paga il 5,955% annuo lordo, ossia il 4,63% in più di un Bund tedesco di pari durata (ma c’è chi paga anche meno: il titolo guida a 2 anni danese oggi ha segnato rendimenti negativi superiori al quarto di punto, ossia chi vi parcheggia il suo denaro finirà col subire non solo l’inflazione ma una decurtazione di un quarto di punto abbondante dei propri capitali in cambio della “sicurezza” di non detenere euro).
In una simile situazione sperare che le banche aprano il portafoglio vuol dire armarsi di pazienza, almeno finché l’economia non ripartirà e le sofferenze non torneranno a calare consentendo una politica meno prudenziale, che peraltro difficilmente si può marchiare come “inadeguata” al momento. Che poi ci si debba chiedere come siano stati concessi molti dei prestiti che oggi finiscono in sofferenza e se non sia possibile migliorare questa competenza da parte delle banche o di altri intermediari finanziari che potrebbero in futuro prenderne il posto in alcune attività specifiche è altro discorso.