Con i decreti legislativi approvati il 20 febbraio, il Governo Renzi ha completato la riforma del lavoro, progetto centrale nella “visione di Paese” del Presidente del Consiglio. Un passaggio storico, anche se molto controverso, che nella lettura di Renzi appare come la precondizione per una completa uscita dalla crisi economica e per una ripresa occupazionale (al netto delle perplessità sulla possibilità di invertire il trend con il Jobs Act così come è concepito). La centralità della questione “lavoro” nell’agenda governativa è però fuori discussione, così come rilevanti sono gli interventi in campo fiscale (percorso da completare, ovviamente), la riorganizzazione della macchina dello Stato (con l’avvio del percorso di riforme costituzionali, l’approvazione del ddl Delrio sulle province e la stessa riscrittura della legge elettorale), gli interventi nel settore giustizia (percorso evidentemente ancora da completare), l’attenzione al settore produttivo e gli interventi (annunciati, avviati o solo “promessi”) sul comparto scolastico.
Del resto, per avere un’idea sul dove sia focalizzata l’azione del Governo basti questo confronto (dati Openpolis):
Per una valutazione complessiva dei provvedimenti vi rimandiamo al nostro approfondimento (o anche al fact checking di Valigia Blu), ma è pacifico che, considerata la complessità delle questioni e la profondità della crisi che ha colpito il Paese, la cura Renzi non potesse avere alcun effetto taumaturgico, al di là dei facili entusiasmi degli integralisti renziani e del disfattismo degli oppositori. Anche perché, come vi abbiamo dimostrato, le scelte in materia di spesa pubblica sono rimaste pressocché invariate (e nel quadro comunque di un aumento sensibile della spesa per gli “obiettivi strategici e le funzioni principali” dello Stato, passata dai 730 miliardi di euro del 2008 agli 825 miliardi del 2014) e sono i dati a smentire qualche ricostruzione trionfalistica del Governo.
Ci sono però delle questioni che il Governo ha accantonato e su cui si è sostanzialmente fermi. O, peggio ancora, in balìa degli eventi. Cominciamo da una delle "emergenze" più sentite dagli italiani (per volontà politica, sia chiaro), quella dell'immigrazione e del controllo delle nostre coste. Un tema fortemente impopolare, soprattutto perché è passata la narrazione "salviniana", e sul quale Renzi ha preferito non esporsi praticamente mai, lasciando che fosse Alfano a metterci la faccia e a dettare la linea. Lo abbiamo visto all'esplodere della questione Tor Sapienza, fino alla scelta, discutibilissima, di rinunciare a Mare Nostrum e di passare a Triton, mentre nel frattempo non una decisione è stata presa sui Cie, sui Cara, sul sistema dell'accoglienza e sui meccanismi di integrazione (se si eccettua qualche sporadica dichiarazione di Renzi sullo ius soli temperato). Insomma, senza girarci intorno: sull'immigrazione il Governo è fermo, impotente, ridotto a contare i morti e con una paura fottuta di esporsi e perdere consenso.
Discorso simile nel campo dei diritti civili, con le differenze di impostazione nella maggioranza che hanno paralizzato l'attività legislativa. In questo caso, tanto per cambiare, ci si è limitati a dichiarazioni d'intento, promesse, slogan e a piccole mediazioni al ribasso. Nei fatti, è tutto fermo: ius soli, coppie di fatto, legge sul fine vita e via discorrendo. Alla voce "compromessi al ribasso" vanno collocate invece le discussioni sul tema del contrasto all'omofobia e il provvedimento sul femminicidio.
Sulla questione delle unioni gay finora prevale la linea Alfano, come avemmo modo di scrivere qualche mese fa: "Si poteva affrontarla con rigore e decenza, oppure con una sorta di pragmatismo casereccio e paternalista, destinato ovviamente a partorire pastrocchi e mostri giuridici, oppure si poteva andare oltre, far finta di nulla, illudendosi che bastasse una leggina contro la discriminazione (il ddl Scalfarotto, contestato dalle improbabili sentinelle in piedi). Si è scelto la terza via, appunto. Ignorando cioè che esiste già una discriminazione di fatto, nel silenzio delle istituzioni". E, tra annunci e mezze promesse, tra annullamenti delle trascrizioni e infinite discussioni, si è praticamente fermi (questa la discussione in casa democratica, per capirci) e ci si dimentica pure di come funziona nel resto d'Europa…
Lo ius soli resta invece solo nelle intenzioni, la legge sul fine vita manco in quelle; la sfera delle libertà individuali è "minacciata" da emergenze costruite a tavolino e non c'è da essere ottimisti nel vedere, ad esempio, come viene approcciato il tema dell'hate speech o della diffamazione.
Questione di priorità, si dirà. Ed è appunto il caso del contrasto alla povertà, tema sul quale il Governo ha fatto poco e male. Che sia per volontà politica o per la limitatezza delle risorse, importa relativamente.
È di qualche giorno fa la presentazione di un rapporto di ActionAid sulla giustizia sociale in cui si sottolinea come, a fronte di continui riferimenti agli argomenti relativi all’inclusione e al contrasto alla povertà in campagna elettorale, la politica non abbia preso misure tempestive né incisive, eccetto casi isolati. In base all’indice di rilevanza degli argomenti parlamentari, ad esempio, si nota come l’inclusione sociale occupi il 44esimo posto durante la reggenza di Renzi a Palazzo Chigi (con Letta era al 31esimo), nonostante il 28,4% degli italiani sia concretamente a rischio di esclusione sociale.
Ovviamente restano gli interventi nella legge di stabilità, con la conferma dei fondi per la social card (e la sperimentazione riservata anche agli extracomunitari residenti in Italia) e l’aumento del fondo per le politiche sociali, mentre un ragionamento a parte andrebbe fatto per il bonus bebè e per quello degli 80 euro (che non riguardano gli incapienti e che dunque si configurano come un aiuto, sacrosanto, riservato alle fasce di reddito medio basse).
Però, come nota la professoressa Chiara Saraceno su LaVoce.info, la sensazione è che sia il tema della povertà a non essere in agenda (del resto, lo stesso ministro Poletti ha annunciato un intervento su pensionati ed incapienti nelle prossime settimane). E il Governo non solo ha puntualmente respinto ogni ipotesi di ragionamento sul reddito di cittadinanza, ma ha anche bocciato “una misura di reddito minimo universale per i poveri, del tipo Sostegno all’inclusione attiva (Sia) proposto dalla commissione Guerra durante il Governo Letta”. La ragione è che mancano le risorse, eppure come nota la Saraceno “si continuano a consumare risorse preziose in mille rivoli che non riescono mai a fare massa critica e che spesso escludono proprio i più poveri: dagli 80 euro mensili per i lavoratori dipendenti a basso reddito che escludono gli incapienti, agli ottanta euro mensili per tre anni per i neonati in famiglie a basso reddito (che escludono gran parte delle famiglie numerose in cui più è concentrata la povertà), fino a questa proposta di assegno di disoccupazione che esclude tutti i poveri talmente sfortunati da non avere avuto né un lavoro regolare, né la nuova prestazione sociale per l’impiego, il Naspi”.