Poste Italiane sotto i riflettori, nel giorno in cui l’assemblea ordinaria degli azionisti ha approvato il bilancio di esercizio al 31 dicembre 2015 e il bilancio consolidato, nonché la distribuzione di un dividendo per l’intero esercizio 2015 pari a 34 centesimi di euro per azione, che sarà messo in pagamento dal 22 giugno prossimo (previo stacco cedola il 20 giugno 2016). Se dall’assemblea non sono emerse particolari novità, salvo un accenno ad acquisizioni all’estero di cui non si era parlato in passato da parte dell’amministratore delegato Francesco Caio secondo cui “se esistono opportunità di acquisizioni, anche all’estero, la consideriamo come una opportunità di crescita per l’azienda”, peraltro subito aggiungendo che “al momento l’interesse principale è sul mercato domestico”.
Anche la conferma che l’80% dell'utile netto andrà a dividendo anche nel 2016 non è una novità secondo gli investitori professionali. Così a scaldare l’assemblea resta l’ipotesi, avanzata già lo scorso 11 maggio a Londra da parte del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che il Tesoro possa cedere ulteriori quote. Dichiarazioni che il fondo Amber Capital, intervenendo oggi all’assemblea, ha definito “in certi contesti comprensibile”, ma che in altri contesti “possono essere inopportune perché scoraggiano l’investimento, ritardandolo fino a quando la governance non venga chiarita”. Per questo il fondo, azionista per poco eno del 2%, si è augurato “una maggiore attenzione da parte dell’azionista di maggioranza”.
Speranza vana visto che è di questi giorni l’ennesima indiscrezione, subito ripresa dalla stampa italiana, della possibile cessione, a breve, di una quota del 35% di Poste Italiane dal Tesoro (attualmente socio al 65%) a Cassa Depositi e Prestiti (CdP). L’operazione sarebbe inoltre propedeutica ad un successivo piazzamento, da realizzare in tempi non stretti, della quota residua del Tesoro (30%), questa volta sul mercato. Al termine di questo riassetto azionario anche Poste Italiane vedrebbe CdP come azionista di controllo con una quota attorno o poco sotto il 30% e un flottante del 70%, analogamente alle altre società che gestiscono reti di distribuzione in Italia (Snam e Terna) già in portafoglio a CdP, che assomiglia sempre più ad una versione 2.0 dell’Iri e consente al governo italiano di mantenere il controllo su tali società anche se formalmente le stesse risultano fuori dal perimetro pubblico e dunque “privatizzate”.
Gli analisti di Equita Sim, che sul titolo Poste Italiane esprimono un rating di “buy”, acquistare, con un target price a 8,4 euro, ritengono che nel breve periodo, il piazzamento di una quota a CdP “dovrebbe ridurre l’overhang (eccesso di offerta ndr) sul titolo, visto che verrebbe meno il rischio di un piazzamento, che tuttavia permarrebbe nel medio periodo” per i motivi detti sopra. Dal punto di vista del business, aggiungono gli esperti, “il passaggio del controllo di Poste a Cdp dovrebbe” contribuire a “ridurre il rischio di revisione del contratto – che scade nel 2019 – che regola la raccolta del risparmio postale, in base a cui Poste Italiane riceve una commissione ricorrente di 0,5% sui saldi medi di buoni fruttiferi e libretti postali collocati per conto di CdP”.
La distribuzione di risparmio postale per conto di CdP, ricordano gli uomini di Equita Sim, “genera circa 1,6 miliardi di euro di ricavi, ovvero il 6% del totale di gruppo. Inoltre un più stretto legame di governance fra Poste Italiane e Cdp potrebbe portare a sinergie in materia di investimenti di cui potrebbe beneficiare Poste Vita”. Positivi anche i commenti di Mediobanca Securities che ha confermato oggi la raccomandazione “outperform” (farà meglio del mercato) e il prezzo obiettivo a 8,5 euro. La “soluzione preferita” da parte degli analisti, peraltro, “sarebbe un buyback fatto da Poste Italiane sul 10% del suo capitale (finanziato con la cassa attualmente presente in bilancio)”, tenendo in considerazioneo il possibile placement del 30%-35% del Tesoro. Una mossa del genere “potrebbe limitare le sofferenze del titolo nel breve termine legate a un eventuale ampio placement” e potrebbe essere giudicata “una mossa “market-friendly” con l’obiettivo finale di rendere Poste Italiane sempre più una public company con una migliore liquidità”.
Un giudizio che sembra strizzare l’occhio al venditore perché si serva di Mediobanca per il collocamento. Gli esperti ammettono peraltro che “quanto scritto dalla stampa potrebbe sollevare alcuni dubbi sull’effettiva mancanza di conflitti di interesse (ma no? ndr) una volta che Cdp diventerà il maggiore azionista di Poste Italiane”, visto appunto il peso che la distribuzione di risparmio postale per conto di CdP ha sul bilancio di Poste Italiane. “Da questo punto di vista – concludono però gli uomini di Mediobanca Securities – crediamo che il ministero dell’Economia e finanze e Cdp potrebbero trovare una soluzione molto convincente per evitare questo rischio”. Magari affidandosi ai consigli di Mediobanca? Del resto la banca d’affari milanese di “conflitti di interesse” se ne dovrebbe intendere, visto il ruolo di azionista, advisor, creditore e a volte contro-offerente che ha più volte esercitato e continua a esercitare in gruppi come Rcs Mediagroup e, in futuro, potrebbe esercitare in altri come Unicredit.