La bomba la sganciano prima La Repubblica e poi La Stampa, rivelando quelle che sarebbero le tre “condizioni inderogabili” poste da Nicola Zingaretti per la partecipazione del Partito Democratico al tavolo di confronto con il Movimento 5 Stelle per la formazione del nuovo governo istituzionale a seguito della crisi dell'esecutivo gialloverde. Oltre ai cinque punti (in realtà sei con il disinnesco delle clausole di salvaguardia) su cui aveva avuto mandato pieno all’unanimità da parte della Direzione Nazionale del partito, Zingaretti avrebbe dunque portato al Quirinale altre due richieste: abolizione totale dei due decreti sicurezza; accordo di massima, prima della formazione del governo, sulle misure della manovra economica; no alla legge costituzionale sul taglio dei parlamentari come è stata scritta e votata fino ad oggi.
Nonostante sia arrivata una timida smentita poco dopo, altre fonti vicine alla segreteria hanno confermato come si tratti di elementi su cui il segretario Zingaretti costruirà la proposta di accordo con i 5 Stelle. Una proposta preliminare di cui sono già a conoscenza fonti di alto livello del Movimento 5 Stelle, dal momento che sarebbe stata messa sul tavolo durante i primi contatti, seppur non con toni ultimativi. A ciò bisogna aggiungere il no al Conte bis, confermato anche stamattina in una intervista al Messaggero: “Ci sono zero margini di trattativa. Conte non va bene: non si può dire che gli altri, ovvero Salvini, hanno sbagliato, e riprendere a governare come se nulla fosse cambiando solo alleato”. Il piano del segretario, del resto, è noto: mirare in alto, ovvero costruire una proposta che convinca prima di tutto gli italiani e sposti l'asse del consenso verso i dem, dopo aver marcato una forte discontinuità con il passato esecutivo. A tal fine, come ci confermano fonti vicine alla segreteria, chiederà “un passo indietro” a tutti i 5 Stelle che hanno occupato posti di rilievo nell’esecutivo Conte, lasciando aperta solo la porta per Luigi Di Maio, che potrebbe conservare il ministero del Lavoro ma non quello dello Sviluppo Economico.
Una strategia ambiziosa, forse troppo nella valutazione di alti dirigenti del Partito Democratico. Non è un caso, infatti, che la reazione dei renziani alle "tre richieste" sia stata durissima e violenta, con accuse al segretario di aver avanzato una proposta non discussa in direzione. I renziani, infatti, sono da tempo convinto che Zingaretti non voglia l'accordo e miri ad andare al voto, dunque stia facendo di tutto per far saltare il tavolo. Una eventualità che non escludono neanche i Cinque Stelle, che fanno sapere di essere disponibili al confronto ma di non poter accettare veti su nomi e principi cardine, come appunto il taglio dei parlamentari. E Di Maio ne ha fatto il primo punto della sua proposta politica, pur aprendo a una revisione complessiva della materia, dunque con un orizzonte di lavoro più ampio.