In Italia, dall’inizio della pandemia, sono morti di Covid – contati male – quasi quattrocento medici.
Si tratta di persone che non hanno scelto di ammalarsi, né di persone che hanno anteposto il loro benessere privato o le loro paure alle necessarie contromisure contro il virus. Si tratta, a tutti gli effetti, di persone morte sul lavoro. Che soprattutto nella terribile prima ondata della primavera del 2020 hanno lavorato nella totale impreparazione del sistema sanitario nazionale nell’affrontare la pandemia: senza dispositivi di protezione individuale, senza reparti Covid e corsie dedicati, senza qualcuno che potesse dare loro il cambio. Diversi tra loro, erano medici in pensione che sono tornati in servizio per aiutare i colleghi. Tantissimi tra loro avevano mogli, figli, nipoti.
Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi, diceva Bertold Brecht, ma noi ne abbiamo avuto un disperato bisogno, in questi ultimi due anni. E per quanto non si debba abusare di questo appellativo, loro lo sono stati davvero. Medici eroi e infermieri eroi. Chi è morto e chi è sopravvissuto. Non eccediamo in retorica, se diciamo che a loro forse, andrebbe dedicata una via o una piazza o un monumento dei caduti in tutte le città italiane, come quelle che si dedicavano al milite ignoto dopo le guerre. Sarebbe il minimo, in un Paese normale.
E invece in Italia, a quanto pare, siamo riusciti nel capolavoro nel negare un ristoro economico -100mila euro una tantum che già spettano alle famiglie dei medici che fanno parte del sistema sanitario nazionale – alle famiglie dei medici e degli operatori sanitari deceduti a causa del Covid, nello specifico le guardie mediche, dei medici di famiglia, dei dentisti e degli specialisti. È avvenuto giovedì, in Senato, dove un sub emendamento che proponeva questo giusto sostegno a chi aveva perso un famigliare – e una fonte di reddito – per aiutare tutti noi altri, è stato bocciato da una maggioranza trasversale.
La cosa surreale è che nessuno ha dato conto di questa bocciatura. Solo un imbarazzato silenzio, dietro la trincea dell’articolo 81 della Costituzione, quello che prevede equilibrio tra entrate e uscite nei conti dello Stato. In un Paese che spreca denaro come fosse acqua del rubinetto, suona come una beffa ancor più ingenerosa della bocciatura in sé.
E fa sorridere, se non ci fosse da incazzarsi sul serio, che abbiamo tutti speso fiumi di parole sul fallimento della politica nello psicodramma dell’elezione del presidente della Repubblica, mentre non siamo in grado di dire una parola quando la politica fallisce davvero, e clamorosamente, nel dare una risposta a un grande bisogno, a sua volta figlio di un enorme sacrificio.
Sia che si tratti di una decisione politica, sia che si tratti di un insulsa e banale leggerezza da weekend in arrivo, si tratta in ogni caso di una pagina nerissima della politica italiana, che speriamo venga strappata quanto prima. Perché no, forse non ne usciremo migliori come abbiamo sperato per mesi di uscirne. Ma se davvero non riusciamo nemmeno a riconoscere chi davvero ci ha permesso di uscirne, pagandone il prezzo più alto, non possiamo uscirne peggio di così.