Roberto Zaccaria è professore ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico nell'Università di Firenze, dove insegna Diritto costituzionale generale e Diritto dell'informazione. Già Presidente Rai dal 1998 al 2002 in questi mesi tiene numerose conferenze per ribadire la propria contrarietà alla riforma costituzionale.
Professore Zaccaria, il clima del dibattito referendario sembra scaldarsi…
Sto guardando un po’ i telegiornali, come danno le notizie. Ogni giorno c’è una cosa nuova: ieri c’era il sì degli artisti oggi c’è l’endorsement della stampa estera sulla riforma costituzionale. Tutti che temono che scatti la crisi ma il problema è Renzi: è lui a paventarla. L’impostazione deviata del dibattito nasce dall’impostazione di partenza. Anche il tg3, che una volta rappresentava una posizione alternativa rispetto alle posizioni governative, inserisce dopo la notizia del Papa che perdona l’aborto l’endorsement della stampa estera….
Perché vota no a questa riforma?
Il mio no è abbastanza semplice, per due motivi: prima di tutto perché questa riforma è nata in Parlamento e si è sviluppata come un’ipoteca inaccettabile del governo; questo è un elemento che la deforma dal punto di vista del metodo e porta già un giudizio negativo; poi nel merito la soluzione ai problemi che vengono indicati è sbagliata perché il superamento del bicameralismo è giusto in linea di principio ma viene superato in un modo contraddittorio che ne determina un peggioramento. Poi c’è il collegamento della riforma con la legge elettorale che mi fa dire in modo preciso che questo disegno diventa pericoloso perché innesta un meccanismo che deforma il sistema di governo favorendo l’esecutivo. E questo è contrario ai nostri principi costituzionali.
Dice Renzi che chi vota no è a favore della casta…
Una deformazione, appunto: ogni volta c’è bisogno di trovare uno slogan tra l’altro collegato a elementi inesistenti nel testo. In questa riforma non c’è nulla che riguardi la casta: c’è forse qualche accenno che riguarda il calmieramento delle retribuzioni dei politici ma a noi hanno insegnato che queste iniziative si possono tranquillamente fare con delle leggi ordinarie. E poi mi ha lasciato di stucco sentire Renzi definire ”accozzaglia” i sostenitori del no dicendo che questi non costituiscono un'alternativa: anche questa frase non ha nessuna connessione con il voto sulla riforma costituzionale poiché le riforme costituzionali non configurano alternative ma costituiscono le tracce e le fondamenta della casa comune.
L'alternativa si fa in occasione delle elezioni politiche: allora certamente se ci fosse in quel caso una coalizione che tiene insieme centro destra e centro sinistra sarebbe molto discutibile. Qui non c’entra nulla. Così come non c’entra la casta, non c’entra la stabilità, non c’entra la semplificazione. Sono tutti slogan venduti per cercare di catturare qualche elemento di consenso.
Si dice che a questo Paese serva governabilità…
Innanzitutto anche questo non c’entra nulla con la riforma Costituzionale: nella riforma c’è solo la fiducia che viene data da una sola camera piuttosto che da entrambe ma i governi nel nostro Paese non sono quasi mai (tranne i governi Prodi) caduti per problemi di fiducia. Il problema della governabilità sta nella capacità di creare coalizioni stabili, questo è un problema che si risolve con formule politiche e non con la Costituzione. A meno che non si passi a un governo presidenziale.
Dice Renzi che finalmente il Paese potrebbe avere un Senato della Autonomie…
Per una trentina d’anni i costituzionalisti avevano proposto di creare una Camera delle Regioni ma in quel caso si collegava con un sistema di autonomie molto marcate, molto forti e allora così avrebbe un senso. Nel momento in cui scegli di ridurre le autonomie e di ricentralizzare invece il Senato delle Autonomie è una contraddizione. Inoltre il progetto di Senato è molto fragile con una modalità di convocazione delle sedute troppo intermittente: un organismo di alta specializzazione fa a pugni con convocazioni così saltuarie e le stesse norme costituzionali pretendono tempi molto stretti. Si parla di cinque giorni, dieci giorni. Per fare questo ci vorrebbe un Senato insediato tutta la settimana.
Da persona della televisione come vedi la gestione del governo della comunicazione referendaria?
Penso ci sia un’invasione (intesa come presenza esorbitante) del governo non tanto negli spazi dedicati al referendum (che vengono più o meno gestiti con metodo aritmetico anche se con qualche tecnica subdola) ma soprattutto il governo è sempre presente al di là del fatto che ci siano reali notizie. In tutti i telegiornali la prima, seconda o al massimo la terza notizia è il governo che ci comunica qualcosa, tra l’altro sempre con lo stesso testimonial: non è che di legge di stabilità parla
Padoan o troviamo Poletti intervistato di lavoro; c’è solo e sempre il Presidente del Consiglio sia che si parli di referendum sia che si parli di altro. Questa misura (noi abbiamo presentato un ricorso all’AGCOM) è colma, basta leggere i dati. Si parla di un minimo del 40% di presenza a un massimo del 60%. Percentuali bulgare. Soprattutto sapendo quanto pesano le televisioni nel mondo dell’informazione.
Cosa dice di questi scenari apocalittici che vengono prospettati in caso della vittoria del no?
Io penso che l’intromissione di capi di Stato esteri siano inaccettabili. Noi non ci permetteremmo; i nostri capi di Stato non si sarebbero mai permessi. Che la stabilità sia un valore è scontato, perfino ovvio, ma gli USA non decidono anche loro tra democratici e repubblicani? E poi quando si tratta di scegliere la Carta Costituzionale il discorso sulla stabilità è del tutto improprio: è stato erroneamente tirato dentro proprio da chi conduce la campagna referendaria.