Von der Leyen dice che l’Europa deve trovare un’alternativa alla Via della seta con la Cina
"Dobbiamo intensificare il nostro lavoro con altri per creare un'alternativa alla Via della seta, ovvero sul nostro partenariato per le infrastrutture e gli investimenti globali" con la Cina. Le parole di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, durante una sessione del G7 dedicata ai rapporti con Pechino hanno aperto il dibattito.
"Dobbiamo bilanciare i nostri rapporti commerciali e dobbiamo discutere dei controlli sulle esportazioni o sugli investimenti in uscita, con particolare attenzione ai settori sensibili dell'alta tecnologia". Questo perché negli ultimi anni l'Ue ha importato molto più di quanto ha esportato, dalla Cina, e la cosa è in parte dovuta a "sussidi nascosti, discriminazioni negli appalti pubblici e altre distorsioni create dal sistema capitalistico statale cinese". Parole che mettono un'ulteriore pressione sui Paesi, come l'Italia, che alla Via della seta si sono avvicinati negli ultimi anni.
Cos'è la Via della seta e quando ha aderito l'Italia
La Nuova via della seta è un accordo commerciale, il cui nome ufficiale è Belt and road iniatitive, o Bri. Si tratta di un'iniziativa economica e politica portata avanti dalla Cina dal 2013 in avanti, tramite accordi con numerosi Paesi che prevedono con ciascuno delle condizioni diverse, soprattutto in ambito di infrastrutture (trasporti, oleodotti, reti elettriche, autostrade) ma più in generale con l'idea di creare un unico grande mercato allargato, con Pechino in posizione centrale. L'Italia è stato il primo Paese del G7 a firmare un memorandum d'intesa con la Cina, nel marzo 2019: non si trattava di un accordo internazionale vero e proprio, ma era sostanzialmente un impegno a collaborare per realizzare la Nuova via della seta.
I governi successivi, cioè il Conte bis e Draghi, hanno progressivamente abbassato l'interesse verso questa iniziativa. Il memorandum scadrà a fine 2023, e l'Italia è nella posizione di dover decidere se lasciarlo rinnovare in automatico o tirarsi indietro. Le conseguenze concrete dell'accordo finora sono state limitate, ma ha avuto una certa importanza simbolica: l'avvicinamento alla Cina, infatti, significa un raffreddamento dei rapporti con gli Stati Uniti. Da quando è in carica, Giorgia Meloni non ha effettuato una visita ufficiale né a Pechino né a Washington. La linea di politica estera è stata decisamente atlantista, ma la Cina resta comunque un Paese che ha già dei significativi investimenti economici in Italia.
Cosa vuole fare il governo Meloni con la Cina
In passato, il ministro della Difesa Guido Crosetto ha detto che è "improbabile" che l'Italia rinnovi il memorandum. Giorgia Meloni si è espressa in termini meno decisi, ma oggi – dopo le parole di Von der Leyen – il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli ha chiarito che anche se "non è stata ancora presa una decisione", aderire all'accordo "come unico Paese occidentale" è stato "un errore politico di Giuseppe Conte", anche perché "ci sono altre nazioni che, pur essendo economicamente più esposte dell'Italia nei confronti della Cina, non hanno firmato la Via della seta". L'Italia, ha detto Cirielli, "non ha fatto nulla di scorretto o di poco coerente con la sua posizione atlantista. Valuteremo con i nostri alleati e con la Cina, su come risolvere i nostri problemi bilaterali", perché "non c'è alcuna volontà di cambiare questo momento di grande attenzione diplomatica" tra Roma e Pechino.
Nel suo discorso, Ursula von der Leyen ha detto che la Cina "è diventata più repressiva in patria e più assertiva all'estero, in particolare nel suo vicinato. E la Cina ha stretto una ‘amicizia illimitata' con la Russia alla vigilia della brutale invasione dell'Ucraina. Allo stesso tempo, sganciarsi dalla Cina non è fattibile né nel nostro interesse", ha aggiunto la presidente. Pertanto, "dovremmo mantenere aperte le linee di comunicazione e collaborare con la Cina in settori come il cambiamento climatico, la preparazione alle pandemie, la stabilità finanziaria o la proliferazione nucleare. Allo stesso tempo, dobbiamo ridurre le nostre vulnerabilità nelle relazioni economiche".