Sfaticati, mammoni, nullafacenti, viziati, svogliati. La macrocategoria dei "giovani", che ormai comprende anche i trentacinquenni, ispira sempre belle parole agli osservatori. Ora l’ultima novità arriva dai ristoratori e dalle associazioni di categoria che accusano i giovani di preferire il reddito di cittadinanza al lavoro. Ammesso che questo fatto sia vero, forse, e dico forse, sarebbe il caso di cominciare a chiedersi perché succede e uscire dalla retorica del "non vogliono sporcarsi le mani". Quando il lavoro è pagato quanto un sussidio che ha come scopo quello di evitare la povertà, allora c’è un problema. Ed è ora che questo problema venga affrontato, non è più il momento di chiudere gli occhi, di fare proclami inconsistenti, di annunciare interventi che non servono a nulla.
Ci sono datori di lavoro che si lamentano del fatto che, durante il colloquio, il candidato chieda quante ore dovrà lavorare e quanto verrà pagato. E non solo, rincarano la dose, lo chiedono anche all'inizio del colloquio. Quindi cosa dovrebbero fare secondo gli imprenditori? Magari cominciare a lavorare e poi aspettare la fine del mese, perché forse arriva una sorpresa. Forse. La preside dell'Istituto alberghiero Vespucci di Roma ha raccontato che le aziende chiedono giovani formati e propongono un salario da 300 euro al mese, e che per questo spesso i ragazzi vanno a lavorare all’estero, mentre si dà la colpa al reddito di cittadinanza. Fa notizia la carenza di personale nelle strutture alberghiere e di ristorazione all'inizio della stagione turistica, ma, ancora una volta, è il caso di chiedersi il perché, senza puntare sempre il dito contro "i giovani".
Tra l'altro il reddito di cittadinanza è e resta una misura fondamentale per sostenere migliaia di famiglie che altrimenti non ce la farebbero. Il rischio è che si scarichi la responsabilità su un provvedimento necessario in un Paese civile, che è diventato ancora più importante con la pandemia di Covid. Potrebbe passare addirittura un messaggio paradossale. Perciò è necessario ricordare che non è sbagliato prendere il reddito di cittadinanza e che non c'è in alcun modo da vergognarsi se lo si percepisce. E soprattutto va sottolineato che le difficoltà dei giovani, le ansie, le frustrazioni, non sono minimamente collegate con il reddito di cittadinanza.
Il punto è che ci siamo stufati, noi giovani, di ricevere paghe da fame e di dover dire anche grazie. Poi andare dagli amici coetanei a raccontare quanto siamo stati fortunati a trovare qualcuno che ci concedesse un salario ridicolo, con il quale è impossibile cominciare un percorso di vita. Ci siamo stancati di vivere in bilico tra contratti a tempo determinato, contratti stagionali, stage gratuiti, stage pagati con i fondi europei, stage pagati con garanzia giovani, stage pagati con dei soldi che però poi devi ridare indietro a chi te li ha dati. Sì, siamo tutti stufi di queste dinamiche che tengono intere generazioni ingabbiate per anni, mentre la politica non ha ancora capito la gravità della situazione, né come intervenire.
"Per quanto riguarda gli interventi decisi oggi c’è molto per i giovani", annunciava il presidente del Consiglio Draghi presentando il decreto Sostegni bis. Bene, ma di cosa si tratta? "Abbiamo parlato della casa", spiegava ancora Draghi. Ma a cosa servono i mutui garantiti dallo Stato se i giovani il mutuo non lo possono pagare? Non si capisce, onestamente, quali giovani lo Stato stia aiutando. Oggi chi non compra casa non può permetterselo, non sa se riceverà lo stipendio a fine mese o se è certo di riceverlo è talmente basso che è inconcepibile pensare di poter pagare un mutuo tutti i mesi per trent’anni. Insomma, l'agevolazione sui mutui sembra davvero una presa in giro.
I contratti "di inserimento per i giovani" contenuti nel Sostegni bis proseguono sulla stessa linea: si pregano le aziende di assumere giovani, mentre dovrebbero essere delle risorse che le stesse imprese dovrebbero cercare e volere. È sbagliato l'intero paradigma e per rovesciarlo basterebbe cominciare a vietare l'apprendistato, i tirocini, gli stage gratuiti, che spesso diventano dei limbo in cui ci si ritrova per anni. E si passa da un'azienda all'altra, da uno stage non pagato all'altro. Se sei fortunato ti pagano con ritenuta d'acconto. Forse. Magari a sei mesi. Quindi sì, i giovani sono stanchi. Stanchi di vedere i coetanei e amici andare via dall'Italia. Perché, alla fine, chi ce lo fa fare?