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Vivere in un Paese normale

Anche se dura solo un attimo, la sensazione è davvero appagante: immaginare di vivere in un Paese “normale”.
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Del concetto di normalità si discute da secoli, senza ovviamente venirne a capo. E, altrettanto ovviamente, diremmo che non è certamente questa la sede per dibattere sulle diverse declinazioni della "normalità". Così, ci perdonerete per una forzatura che però in questo caso risulta essenziale, quasi una precondizione al ragionamento complessivo. Che poi più che un ragionamento è uno sfogo amaro ed inutile al tempo stesso. Sì, insomma, tutta questa premessa per dire che "mi piacerebbe vivere in un Paese normale" e relegare la specificità italiana nel campo dell'eccezione rispetto ad una pretesa normalità ideale, più che concretamente rintracciabile. Ok, mi rendo conto che continuando di questo passo rischio di rimanere intrappolato in relativismi o peggio ancora tautologie: quindi basta speculazioni e viva il senso comune.

Ecco, in un Paese normale il teatrino politico cui stiamo assistendo nelle ultime settimane non sarebbe tollerato.

In un Paese normale gli stessi attori non si presterebbero sempre alla stessa recita, con repliche ventennali di un copione trito e ritrito, in cui si sa sempre quale sarà il delitto e mai si scoprirà il colpevole.

In un Paese normale non si arriverebbe al punto in cui il leader di un partito che ha 8 milioni di voti rifiuta di dimettersi dopo una sentenza definitiva di condanna per frode fiscale.

Perché in un Paese normale quel leader si sarebbe già dimesso dopo la condanna in primo grado. O addirittura dopo aver ricevuto il rinvio a giudizio.

In un Paese normale poi non si metterebbero in discussione norme approvate pochi mesi prima, solo perché "casualmente" scontratesi con gli interessi di una delle parti in causa.

Certo, in un Paese normale i processi non durerebbero dieci anni, i magistrati non costituirebbero correnti e bla bla bla: ma la sostanza non cambia, visto che la legge è uguale per tutti e le sentenze si eseguono (più che dire "si rispettano", frase che se ci pensate non significa nemmeno granché).

In un Paese normale però non servono vent'anni per far rispettare una legge sulla candidabilità di un concessionario dello Stato. E non servono vent'anni per fingere di occuparsi del conflitto di interesse.

E in un Paese normale il garantismo non è sinonimo di "impunità e connivenza", né è concetto camuffabile, bensì orientamento degno e dignitoso.

Certo in un Paese normale ci si dividerebbe sui problemi, sulle scelte, sugli ideali (chiedo umilmente perdono per aver usato tale parola), più che sulle finte contrapposizioni personali. E in questo senso magari non si farebbe finta di nulla dopo aver urlato ai 4 venti "mai al Governo con mister x", "smacchiamolo", "inciucio è parola abusata" e dopo aver messo nero su bianco gli "intenti" da perseguire a tutti i costi.

Insomma, in un Paese normale le larghe intese dovrebbero servire al bene della nazione, non alla sopravvivenza del ceto politico.

Perché in un Paese normale sono le scelte dei cittadini a determinare gli equilibri parlamentari, non le alchimie dei soliti, vecchi, apprendisti stregoni.

Poi magari in un Paese normale le forze alternative al sistema lo sarebbero realmente. Cioè proverebbero a rappresentare una reale alternativa e tendenzialmente non abdicherebbero alle proprie responsabilità.

Infatti, teoricamente almeno, in un Paese normale chi ha preso 8 milioni di voti non dovrebbe dire "non mi interessa il Governo" e lasciare campo libero al "resto", cullandosi dietro scenette pittoresche ma dall'incidenza pari a zero.

Certo, in un Paese normale una forza che ha preso 8 milioni di voti acquisterebbe automaticamente il rispetto degli altri partiti. E otterrebbe la considerazione che merita, nelle istituzioni e nel dibattito politico.

Ma soprattutto un Paese normale non perderebbe di vista i problemi reali, concreti. Mai, in nessun caso accetterebbe che a dettare l'agenda siano i capricci degli uomini soli al comando, le finte emergenze studiate a tavolino, l'indignazione a comando.

Va bene, mi fermo…altrimenti più che lo specchio del senso comune, questo post è il trionfo del qualunquismo e del populismo.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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