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Opinioni

Vi spiego perché non possiamo ridurre gli inni al Fascismo e al Nazismo a folclore

Lo Storico Carlo Greppi spiega perché, dopo l’inchiesta di Fanpage.it “Gioventù meloniana”, non sia possibile ridurre inni a Fascismo e Nazismo a semplice folclore.
A cura di Carlo Greppi
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Non basterebbe un libro per censire gli episodi gravissimi che si sono moltiplicati in questi anni in Italia e che sono stati derubricati come manifestazioni folcloristiche, boutades, e “sparate” (fasciste, razziste, islamofobe, antisemite, maschiliste, omofobe) di singoli esponenti dell’ultradestra italiana, dagli amministratori locali ai parlamentari europei. La nuova Lega nazionalista e Fratelli d’Italia, però, come hanno dimostrato incalcolabili inchieste – penso a Paolo Berizzi, Claudio Gatti, Giovanni Tizian e Stefano Vergine –, hanno nel frattempo intessuto legami strettissimi con la galassia neofascista e neonazista, attingendo inoltre a piene mani, per rinfoltire le loro fila, da quegli ambienti, curve calcistiche comprese. Gioventù meloniana, l’inchiesta di Fanpage appena diramata sul movimento giovanile di FdI, Gioventù Nazionale (erede del Fronte della Gioventù e di Azione Giovani), firmata undercover dal team inchiesate Backstair, composto dalla coraggiosa Selena Frasson con Luigi Scarano e Cristiana Mastronicola, mostra come questo fenomeno abbia assunto dimensioni preoccupanti e strutturali.

Sia chiaro: andando a indagare le pieghe della militanza organica al partito che, oggi, continua a essere il più votato da italiani e italiane, non stupisce vedere “camerati” che inneggiano al fascismo nelle sedi di FdI – lo si sapeva – e nemmeno il fatto che ci sia chi li difende. Italo Bocchino, direttore editoriale de “Il Secolo d’Italia” (uno dei quotidiani più vicini a quest’area), definisce Gioventù Nazionale "un mondo meraviglioso", e ha dichiarato a Piazza Pulita che "attaccare una telecamera a un buco della serratura non è giornalismo", confondendo come di consueto le acque. Dunque – e ce lo dice un uomo che ha fatto il “classico” percorso partitico che dal Msi ha portato al Popolo della Libertà, e che ora è megafono di quel "mondo meraviglioso" – il problema non sarebbe ciò che si racconta, ma che qualcuno osi raccontarlo. Mettendo in luce l’esistenza di "ragazzi un po’ scapestrati, magari che hanno bevuto qualche birra di troppo", si offenderebbe secondo lui l’elettorato “sano” di FdI. Siamo sempre alla vecchia favoletta della norma e dell’eccezione, dei bravi ragazzi che dai, in fondo, assomigliano ai nostri figli e commettono qualche leggerezza, mentre una nuova classe dirigente viene formata da quello che al momento è il maggior partito italiano con le parole d’ordine violente, escludenti ed eversive tradizionale appannaggio della destra postfascista. Quello che stupisce è vedere che l’opinione pubblica di questo paese non pare particolarmente allarmata.

Se c’è qualcosa che la Storia ci ha insegnato è che se si prendono sottogamba queste convergenze si imbocca una strada senza ritorno. Così è accaduto, per limitarsi al cuore del Novecento, tra il 1921 e 1922 in Italia e tra il 1930 e il 1933 in Germania, quando la classe dirigente (e parte dell’elettorato) “liberale” ha creduto di poter sfruttare, e controllare, i rispettivi movimenti eversivi. La campagna elettorale del 2022 – per ironia della Storia, tenutasi nel centenario della presa del potere del fascismo – è stata costantemente inquinata da chi si ostinava a chiamare FdI, come peraltro la Lega nazionalista, “centrodestra”, credendo nell’altra favoletta di un partito dalla genealogia nitidissimamente nera che si sarebbe “moderato”, nonostante le compagini di lotta e di governo con cui si accompagna, più o meno apertamente, in Europa.

E se il partito di Meloni ha fatto il botto è stato perché molta gente, immagino persino in buona fede, a questa favoletta ci ha creduto. Anche l’estrema destra sa votare e militare “utile”, e se oggi è così forte è proprio perché ha un enorme partito “presentabile” (in che universo parallelo, poi?) a proteggerla. È per questo che i camerati provano a mostrarsi così mansueti quando ci possono essere sguardi indiscreti, dimostrando di essere – oltre che lupi travestiti da agnelli – pure indegni della “fede” che dichiarano di avere, rinnegandola in gran parte alla luce del sole perché ora assaporano il gusto della via che porta al potere, per le loro ambizioni personali e per i loro sogni eversivi.

La “galassia nera” vivisezionata cinque anni fa da “Patria Indipendente” ora ha trovato un ombrello protettivo e una copertura politico-istituzionale che getta un’ombra scura sul futuro della democrazia italiana. Non è un caso che l’inchiesta mostri anche i legami tra il fascistissimo Circolo Pinciano, che di fatto copre tutta la zona di Roma nord, con Casaggì, il centro sociale di estrema destra di Firenze i cui esponenti sono saliti agli onori della cronaca per il celebre pestaggio degli studenti del liceo Michelangiolo di Firenze. Io ero in una scuola piemontese pochi giorni dopo l’episodio, e ricordo perfettamente l’angoscia negli occhi di studenti e studentesse, non tanto per via dell’episodio – ci sono sempre stati e sempre ci saranno –, ma per il fatto che, a quanto mi risulta per la prima volta nella storia della Repubblica italiana, questo fosse stato sminuito o giustificato, più o meno velatamente e maldestramente, da numerosi/e esponenti dell’estrema destra di governo.

Questo deve far paura, anche se la paura non basta. Come ha scritto proprio in quel frangente la dirigente scolastica del Michelangiolo, Annalisa Savino, ricordiamoci che "il fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate da migliaia di persone", ma "ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a se stessa da passanti indifferenti". E non illudiamoci "che questo disgustoso rigurgito passi da sé", ci ammoniva Savino. È ovvio che l’appello va rivolto alla nuova “base” del partito meloniano, e a chi ci ronza intorno: chiamateli con il nome che vi pare ma scaricateli, finché potete e finché siete in tempo. Se, come dite, siete moderati. E se ancora credete nella democrazia.

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Carlo Greppi, dottore di ricerca in Studi storici presso l’Università degli Studi di Torino, è autore di numerosi saggi sulla storia del Novecento. È curatore della serie Laterza “Fact Checking: la Storia alla prova dei fatti”, e i suoi ultimi saggi sono Il buon tedesco (Laterza 2021, Premio FiuggiStoria; Premio Giacomo Matteotti) e Un uomo di poche parole. Storia di Lorenzo, che salvò Primo (Laterza 2023), tradotto in spagnolo e in corso di traduzione in olandese, francese e russo. È in uscita I Pirati delle Montagne (Rizzoli 2023), romanzo per ragazzi su una banda di partigiani stranieri, ed è in corso di pubblicazione la Storia internazionale della Resistenza italiana (Laterza 2024), saggio collettaneo a ventidue mani a cura sua e di Chiara Colombini.
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