“Le parole sono importanti”, diceva Nanni Moretti, e aveva ragione.
Le parole servono per comunicare concetti, ma se sono povere, poche o sbagliate, lo saranno anche i concetti che vogliono esprimere.
Le parole non sono un orpello, le parole servono per difenderci e per difendere coloro che ne hanno meno nello zaino.
Per questo ho deciso di intervistare Vera Gheno, una delle più importanti sociolinguiste e traduttrici in Italia: per entrare nel mondo del linguaggio, delle declinazioni e dello schwa (che non è una parolaccia).
Vera Gheno, sociolinguista e traduttrice, ho detto bene?
Sì.
Qual è il femminile di avvocato?
Avvocata.
Avvocatessa no?
Era quello che si usava una volta, siccome non è mai entrato davvero nell'uso, si preferiscono i femminili a suffisso zero.
E il femminile di direttore?
Direttrice.
Di medico?
Medica.
Si può dire "medica"?
Sì, nello Zanichelli c'è, lo usavamo già come aggettivo tipo "erba medica", quindi non è strano usarlo come sostantivo.
Tu lo utilizzi o dici dottoressa?
Io uso medica.
Non suona male?
Transustantazione suona male, ma comunque la usiamo.
Ora sto per dire una caz*ata, ne sono consapevole: io sono giornalista, e giornalista finisce con la "a". Ma io mica faccio una battaglia per chiamarmi "giornalisto".
Perché quella "a" non è la "a" di un femminile ma di un suffisso di derivazione greca che è "ista", che finisce in "a" sia per il maschile che per il femminile. Quindi basta cambiare l'articolo: un giornalista o una giornalista.
Perché è così difficile cambiare, nell'opinione pubblica?
Perché è difficile cambiare, ho sempre in mente quella canzone dei Subsonica che dice "sono cambiamenti solo se spaventano". Il cambiamento spaventa, il cambiamento richiede una fatica, un adattamento, richiede di mettersi in gioco, quindi non è lo stato naturale dell'essere umano cambiare.
Il femminile di "magistrato"?
Magistrata.
E quando è a esempio una donna che dice "io preferisco essere chiamata magistrato"?
Io di default, normalmente, uso i femminili, nei confronti di tutte le professioniste che incontro. Se la professionista mi dice "preferisco il maschile", io mi adeguo, non devo fare il braccio di ferro. Poi se capita di tornarci sopra, magari davanti a un prosecco, le chiedo perché.
Qual è il potere delle parole?
Quello di farci vedere meglio certi aspetti della realtà. Mettere a fuoco ad esempio quello che proviamo, i nostri sentimenti, le nostre convinzioni.
C'è una parola a cui tu vuoi molto bene?
Secondo me a tutte, perché tutte possono servire nel momento giusto. Secondo me la magia si ha quando – per citare Calvino – "si trova la scintilla che sprizza dallo scontro delle parole con nuove circostanze". Cioè una magia che si crea quando trovi la parola giusta per dire al meglio una certa cosa.
E c'è una parola che non sopporti?
Non mi piace quando le parole vengono abusate, la Castellani Pollidori diceva: "Le parole si plastificano". Ad esempio la parola "resilienza", che non ha fatto male a nessuno però appena la sentiamo ci prende il cosiddetto cringe, come direbbe mia figlia.
Schwa è una parolaccia?
No. E' il nome di un simbolo dell'alfabeto fonetico internazionale, ha la forma di una piccola "e" ruotata di 180° e indica la vocale media per eccellenza, quella che si può fare senza deformare la bocca.
E si dice "lo" schwa o "la" schwa"?
"Lo" perché è un simbolo, non è una lettera.
"Di questo passo pretenderanno anche i bagni non per i maschi e non per le femmine".
Non vedo perché ci debbano assolutamente essere i bagni divisi per maschi e femmine, una volta che siamo tutti abbastanza educati da fare la pipì centrando l'obiettivo; in tutto il mondo io trovo bagni misti.
A chi dice in maniera dispregiativa “però l’orecchio vuole la sua parte”, cosa rispondi?
Noi nella nostra quotidianità non usiamo le parole in base alla loro eufonia. Se andiamo dall’elettrauto non gli diciamo “non me lo chiami spinterogeno perché sa, è cacofonico”. Nel quotidiano noi usiamo le parole che ci servono, non quelle che suonano bene.
Qual è la critica più forte che viene fatta allo schwa?
La prima è che si tratta di un suono alieno all’italiano standard, quindi è difficile che le persone inizino ad andare in giro dicendo “buonasera a tuttə”.
L’altra cosa che viene detta è che è una modifica che andrebbe a impattare sulla morfologia della nostra lingua e quindi sarebbe un cataclisma linguistico, e su questo peraltro sono d’accordo.
Riflessione: io sto studiando, prima di tutto, questo fenomeno. Il fatto di essere diventata la portabandiera dello schwa è un effetto collaterale di una società che vuole eroi e antieroi, io in realtà studio questi fenomeni.
Ti è mai capitato di utilizzare lo schwa nei tuoi libri?
Sì, certo. L’ho usato nel libro che ho scritto con Federico Faloppa “Trovare le parole”. E poi quest’anno abbiamo ripubblicato un mio saggio del 2019 che si chiama “Femminili singolari” e lo abbiamo schwaizzato.
Ti ricordi quanti libri hai scritto?
Dieci.
Non ti sei stancata di parlare sempre di linguaggio?
No. Mi viene da citare un video molto bellino di Noam Chomsky. Ali G gli fa una domanda simile e lui risponde: “Come posso essermi stancato a occuparmi della proprietà nucleare dell’essere umano?".
Cioè la cosa che ci fa umani, quindi è difficile stancarsene.
Quando qualcuno ti dice “ma parla come mangi”?
Io mangio così, in maniera molto varia, e soprattutto mangio senza pregiudizi.
“Presidenta” detto a Laura Boldrini, cos’era?
Una cazzata. Un’invenzione giornalistica per creare un argomento fantoccio da demolire quindi facilmente. In realtà Laura Boldrini aveva semplicemente chiesto di essere chiamata “signora presidente”, invece di “signor presidente” come insisteva a chiamarla un deputato della Lega.
L’espressione “che palle” secondo te è sessista?
Io direi che il grosso delle nostre espressioni volgari è sessista. Tutti gli auguri che fanno riferimento alla sfera dell’omosessualità, a esempio. Tutti gli improperi che identificano l’atto della penetrazione anale come qualcosa di negativo.
Ad esempio “l’ho preso in culo” per dire “sono stato fregato”?
Sì, esatto. Oppure “vai a prendertelo nel culo”, e cose del genere. Ma questa non è altro che la cartina di tornasole di quanto sia intrisa di sessismo e omofobia la nostra società. E’ difficile evitarli in toto questi riferimenti. Però diciamo che quando ci faccio caso, cerco di evitarli.
C’è una volta in cui la consapevolezza del linguaggio ti ha salvata?
Direi continuamente. Il linguaggio è il superpotere che mi permette di uscire dalle situazioni difficili.
Ti ricordi invece una volta, se c’è stata, in cui ti sono mancate le parole?
Un paio di volte quando sono stata mollata dai miei fidanzati mi sono mancate le parole.
Cosa pensi tu dell’utilizzo delle parole inglesi nella lingua parlata?
E’ sempre un gigantesco “dipende”. Quando si arriva, soprattutto in ambito “business” o “marketing” a parlare della “reason why” di questo “project” che richiede che il “brand” abbia una “reputation”, io dico: ascolta, forse non ce n’è bisogno.
Un esempio in cui invece le parole inglesi sono entrate nella dialettica quotidiana?
Io penso che molte definizioni borderline, tecniche, come hate speech o cancel culture, siano necessarie e utili per capirsi.
Io leggo spesso i commenti ai tuoi post, sui social. Ti è mai venuto voglia di abbandonare i social?
No, di abbandonarli no. Sono 26 anni quest’anno che sono online, ho una tigna sufficiente per insistere a stare online. Fino a un po’ di tempo fa avevo più pazienza.
I giovani di oggi parlano peggio oppure no?
No, non parlano peggio. Questa sciocchezza, per non dire di peggio, la sentiamo uguale da almeno duemila anni.
Uno dei primi è stato Platone a lamentarsi dei giovani d’oggi, ne “La Repubblica”, mi sembra nell’ottavo libro: “Questi giovani d’oggi che fanno le moine, e non hanno rispetto dei loro maestri…”
E’ una roba che diciamo da sempre, se fosse vero ormai saremmo ritornati a essere dei primati, invece così non è. Direi piuttosto che caratteristica dei giovani di tutte le ere, è quella di parlare in maniera incomprensibile alle generazioni precedenti, ma è giusto così. Perché quando si è giovani si tenta di creare un distacco dalle generazioni precedenti.
Le cose “da maschio e da femmina” esistono?
Sicuramente nella mente di chi fa marketing e nella pubblicità. Ma nella vita reale non dovrebbero esistere.
Cosa vuol dire coltivare il dubbio?
Cambiare punto di vista rispetto al dubbio, che nella società attuale è visto come un impiccio, come una debolezza, e invece è alla base della conoscenza. Mica ho inventato nulla, questo è “sapere di non sapere”. Cioè se uno non capisce i limiti della propria conoscenza, non c’è spazio per altra conoscenza.
Siamo in fondo al video: per salutarsi si dice “ciao a…”?
Ciao a tuttə!
Grazie Vera.
Grazie a te.