Vaccini in azienda, l’adesione è volontaria: nessuna sanzione per chi dice no
Da ieri, 3 giugno, con il superamento del criterio dell'età, sono partite anche le vaccinazioni nelle aziende. "Siamo a 2.658 punti vaccinali attivi in tutta Italia e circa 800 se ne aggiungeranno, di cui 212 di Confindustria. L’Italia ha già tutto basta avere la volontà", ha detto il commissario all'emergenza Figliuolo. Oltre 7mila imprese hanno offerto la propria disponibilità come hub di collettività. Il 42% dei nuovi hub vaccinali si trova al Nord, un quarto al Centro e un terzo al Sud.
Secondo l'Inail sono 6 milioni e 839mila i lavoratori più esposti al rischio di contrarre il virus. I primi a essere vaccinati dovrebbero essere quelli del settore alimentare e dei centri commerciali, più di 2 milioni; 72mila del settore del turismo, e poi ci sono i lavoratori dei trasporti, 630mila. Per Franco Bettoni, presidente Inail, "utilizzare il canale aziendale come parallelo alla rete di vaccinazione ordinaria è determinante per la ripresa in piena sicurezza. L’Inail ha fornito il proprio supporto: dalla sottoscrizione del Protocollo fino al documento elaborato con Ministeri, Regioni e il Commissario Figliuolo, che definisce le priorità della somministrazione nei luoghi di lavoro, considerando i lavoratori esposti maggiormente a rischio contagio Covid".
Da ieri comunque possono essere vaccinati i lavoratori, di qualsiasi tipologia: possono ricevere il vaccino dipendenti, stagisti, collaboratori, tirocinanti, lavoratori in cassa integrazione e lavoratori in smart working.
Chi non si vaccina può essere licenziato?
L'adesione al vaccino è però assolutamente volontaria: non è previsto alcun obbligo vaccinale per queste categorie, e il datore di lavoro non può imporlo ai propri dipendenti. Dunque nessuna sanzione è prevista per chi si rifiuta di immunizzarsi. Come ha chiarito il direttore del dipartimento di Medicina del Lavoro dell'Inail Sergio Iavicoli a la Repubblica, non può scattare il licenziamento, perché manca appunto "la norma dell'obbligatorietà del vaccino". Secondo Pasquale Staropoli, della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, interpellato da la Repubblica, l'ipotesi del licenziamento "è remota, ma non impossibile": il datore di lavoro deve però dimostrare che ha alternative.
In teoria il datore di lavoro non può ottenere la lista dei vaccinati, che è conservata solo dal medico. Secondo Staropoli però il datore di lavoro può richiedere i nomi dei dipendenti immunizzati "per esigenze organizzative", per esempio se l'attività prevede contatto con il pubblico, ma non può sapere chi ha scelto di vaccinarsi per "discriminare, punire o premiare".
Il lavoratore può scegliere il tipo di vaccino?
Il dipendente non può scegliere il tipo di vaccino, ma può informarsi sul tipo di farmaco che è stato messo a disposizione dalla Asl per la sua azienda. In caso di reazione avversa al vaccino dopo la somministrazione della prima dose il caso sarà segnalato al Servizio sanitario nazionale: se questa circostanza di verificasse il lavoratore non potrebbe fare il richiamo in azienda.
Il giorno del vaccino vale come permesso?
La vaccinazione rientra nel conto complessivo delle ore di lavoro: non è necessario dunque chiedere un permesso. Solo nel caso si presentino reazioni avverse scatta la malattia.
Possono essere vaccinati anche i familiari del lavoratore?
I familiari del dipendente possono essere vaccinati, a discrezione dell'azienda. Il protocollo firmato da sindacati e 30 sigle imprenditoriali lo scorso 30 aprile non lo prevede, ma non lo vieta esplicitamente. L'eventuale immunizzazione dei membri delle famiglie dei dipendenti comunque può dipendere anche dalle Regioni, dal livello di avanzamento della campagna vaccinale e dalle forniture a disposizione.