Resterà sempre un mistero il motivo per il quale è necessario il crollo di un intero sistema (sotto il peso di inchieste, scandali, colpi ad effetto) per rendersi conto degli errori e delle contraddizioni di riforme che pure venivano considerate "fondamentali" fino a qualche settimana prima. Certo, non sono bastate le Minetti o i Renzo Bossi per affossare le leggi elettorali a liste bloccate, ma sembra che i Fiorito disseminati nelle amministrazioni locali, provinciali e regionali, serviranno a far sì che il Parlamento riveda buona parte della riforma del titolo V della Costituzione.
Non sembri fuori luogo ricordare il modo in cui è nata tale riforma. Come ricorda Pisauro su lavoce, infatti: "La riforma del Titolo V della Costituzione fu approvata frettolosamente nel 2000 dall'allora maggioranza di centro-sinistra, si dice con l'obiettivo di guadagnare il consenso dell'elettorato della Lega, senza un'adeguata analisi delle sue implicazioni. Tutto il dibattito sul federalismo è stato poi particolarmente povero, dominato da slogan come "autonomia e responsabilità" o "avvicinare la politica ai cittadini" o "vedo, pago, voto" o ancora "federalismo solidale". Formule molto generali su cui è difficile non essere d'accordo, ma che di per sé significano poco o niente".
In effetti, se si analizzano singolarmente le "ragioni della svolta federalista", non si può che ammettere la presenza di lacune evidenti e mistificazioni strumentali che non hanno fatto che ampliare le "zone grigie", ra l'altro attraversate da fiumi di denaro senza alcun controllo. Senza che di contro si assistesse ad un miglioramento dei servizi essenziali o ad un più armonico rapporto fra cittadini e istituzioni. E' evidente il caso della proliferazione dei "politici di profesisone", con l'aumento abnorme della dotazione economica di giunte, consigli e commissioni. Aree sulle quali lo Stato centrale è impossibilitato ad intervenire, in nome di un'autonomia gestionale e finanziaria che ha finito col produrre sprechi, inefficienze, clientelismo e corruzione, riproducendo in pratica su scala locale quanto avveniva su scala generale. Con l'aggravante di meccanismi di controllo inesistenti e con l'assenza totale di trasparenza, almeno fino a qualche anno fa.
Il risultato è praticamente sotto gli occhi di tutti e la sensazione è che siamo soltanto agli inizi di una valanga che rischia di travolgere i consigli regionali e le amministrazioni locali. E' chiaro dunque che l'agenda politica sia tornata a contenere il tema di una riforma del titolo V (che ovviamente non si limitava soltanto a questi aspetti), anche se sono in molti ad interrogarsi sui tempi di un intervento in materia. In effetti è altamente improbabile che, per dirla con le parole di Luca Antonini sul sole24ore, "un riassetto complessivo approdi al traguardo entro questa legislatura, dove ci si potrebbe invece impegnare con successo, rimandando alla prossima il resto, in una revisione costituzionale più misurata ma prontamente efficace".
La strada del buonsenso sembra essere tracciata su un doppio binario: riportare allo Stato la competenza su alcune materie e "introdurre l'interesse nazionale come limite all'autonomia legislativa e finanziaria di regioni ed enti locali" (modificando dunque gli articoli 117 e 119). In sostanza si tratterebbe di intervenire sulla ripartizione delle competenze legislative e amministrative fra Stato e Regioni, ragionando intorno all'eventualità di riportare "alla legislazione esclusiva dello Stato materie quali la tutela e sicurezza del lavoro, la previdenza complementare e integrativa, le grandi reti di trasporto e di navigazione, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia, il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario". Anche il discorso sull'interesse nazionale andrebbe ripreso (dopo la confusione della bocciatura referendaria della riforma del 2005), magari immaginando una sorta di "potere sostitutivo statale" che permetta alla Stato di "dettare misure di semplificazione incidenti in modo trasversale sulle competenze regionali e locali […] e allo stesso tempo di interbenire sulle Regioni che ristagnano in disavanzi endemici" (sul tema si attendono novità anche dal decreto tagliasprechi del ministro Cancellieri). Pochi dubbi invece sulla questione dei meccanismi di controllo, con la necessità che anche i bilanci della politica regionale siano riportati sotto il controllo della Corte dei Conti.