Una proposta di legge vuole introdurre l’obiezione di coscienza anche per i farmacisti
Un paio di mesi fa l'Aifa – Agenzia italiana del farmaco ha abolito l'obbligo di ricetta medica per l'acquisto della contraccezione d'emergenza per le persone maggiorenni. In quell'occasione, durante un giro per le farmacie di tre grandi città italiane – Milano, Roma e Napoli – per verificare quanto la nuova prescrizione fosse rispettata, a fronte di alcuni farmacisti che continuavano a chiedere una ricetta non più necessaria, ce n'erano altri che si sono rifiutati di vendere la cosiddetta pillola del giorno dopo. "Non la teniamo perché la titolare è obiettrice", ha risposto una farmacista al banco.
L'obiezione di coscienza è prevista dalla legge 194 del 1978, che regola l'interruzione volontaria di gravidanza, per "il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie". Nel caso questi soggetti sollevino obiezione, secondo l'articolo 8 non saranno tenuti "a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l'interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione". Al momento, insomma, la previsione riguarda solo i medici e il personale sanitario – con tutte le conseguenze che gli alti tassi di obiezione provocano al diritto previsto per le donne dalla 194.
Lo scorso maggio, però, è stato depositato in commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati un disegno di legge con l'obiettivo di estendere la possibilità di obiezione di coscienza anche ai farmacisti. La proposta è stata presentata da Luigi Gigli, presidente del Movimento per la vita, eletto con Scelta Civica e ora nel gruppo di Democrazia solidale – Centro democratico, e Mario Sberna (con lo stesso percorso politico). Per fugare qualsiasi dubbio circa la derivazione smaccatamente cattolica dei proponenti, il disegno di legge inizia citando l'enciclica Evangelium vitae di papa Giovanni Paolo II, dove si afferma che "l’aborto e l’eutanasia sono crimini che nessuna legge umana può pretendere di legittimare. Leggi di questo tipo non solo non creano nessun obbligo per la coscienza, ma sollevano piuttosto un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante obiezione di coscienza". Una posizione, prosegue il ddl, "ribadita con forza, di recente, anche da Papa Francesco che, parlando ai membri dell’associazione medici cattolici italiani, li ha esortati – in materia di aborto, eutanasia e fecondazione artificiale – a fare ‘scelte coraggiose e controcorrente che, in particolari circostanze, possono giungere all’obiezione di coscienza‘".
Partendo da questi presupposti, i due deputati quindi chiedono che ogni farmacista "titolare, direttore o collaboratore di farmacie, pubbliche o private" possa "rifiutarsi, invocando motivi di coscienza, di vendere dispositivi, medicinali o altre sostanze che egli giudichi atti a provocare l'aborto" – il tutto "in analogia con quanto avviene per altre figure professionali sanitarie nella normativa vigente sull'aborto". Nel 2010 era già stata presentata una proposta simile – ma era naufragata.
Se è il farmacista che decide cosa è abortivo
Per la dottoressa Lisa Canitano, ginecologa e presidente dell'associazione Vita di donna, il disegno di legge è "assurdo". "Innanzitutto – ha spiegato – non esistono farmaci abortivi venduti in farmacia. Quindi non capisco quale possa essere il problema. I contraccettivi d'emergenza sono degli inibitori dell'ovulazione". Con una decisione pubblicata in Gazzetta Ufficiale, infatti, l'Aifa ha stabilito che la pillola del giorno dopo non ha effetti abortivi, ma solo contraccettivi. Nel testo della proposta si parla di "dispositivi, medicinali o altre sostanze che egli giudichi atti a provocare l'aborto". Secondo Canitano l'utilizzo di questo verbo è grave: "Chi è il farmacista per decidere? Se è per questo ci sono anche opuscoli diffusi dalla Chiesa che sostengono che anche la pillola anticoncezionale è un abortivo. La Chiesa cattolica ha il vizio di dire bugie per difendere il controllo sui corpi, delle donne prima di tutto".
Il punto è, insomma, che si introdurrebbe una sorta di regime di discrezionalità – nonostante la decisione dell'Aifa – tutto a scapito delle donne: stabilire se un farmaco sia abortivo o meno potrebbe dipendere dalle convinzioni religiose del farmacista di turno, più che da rilevazioni di tipo scientifico. Ragionando per assurdo, spiega Canitano, si potrebbe arrivare a una situazione del genere: "Se io mi convertissi a una religione che considera peccato mortale uccidere tutti gli esseri viventi, potrei non prescrivere più gli antibiotici perché anche i batteri potrebbero avere per me diritto di vivere. Potrei desiderare anche io che mi sia riconosciuto il diritto all'obiezione di coscienza".
Senza contare che le farmacie vivono in regime di monopolio. Poniamo il caso di un piccolo paesino, con due soli esercizi. Se in entrambi venisse sollevata obiezione di coscienza e non venissero più venduti contraccettivi d'emergenza, non esisterebbe nessun altro posto nello stesso comune dove acquistare la pillola. Le possibilità, secondo la dottoressa Canitano, sono due: "O si decide che ognuno fa quello che gli pare, deposita la propria religione e la scienza e il governo laico non possono fare nulla; oppure ognuno fa quello che gli pare, ma al di fuori dalle strutture istituzionali, dove ci sono dei diritti tutelati da leggi dello stato che vanno rispettati".