C'è un'immagine che circola in rete: è la prima pagina de Il Messaggero dell'8 aprile 2013, sono tre anni ma sembra passato un secolo, che titola «flop primarie» riferendosi ai 100.000 votanti al gazebo. Se facciamo un piccolo sforzo di memoria possiamo benissimo ricordare come la vittoria di Ignazio Marino (detto "l'alieno", appunto) fosse circondata da voci critiche su una legittimazione ritenuta troppo debole per potersi imporre. Dicevano, tra l'altro, che Ignazio Marino non avrebbe vinto poi le elezioni. Ripensandoci Roma fu per il Partito Democratico (e ai tempi anche per una abile idea di centrosinistra) l'ultima occasione in cui il voto premiò il candidato non istituzionale, in cui le primarie furono l'elemento di rottura con gli equilibri che qualcuno avrebbe voluto preservare: Pisapia, Zedda e poi Marino sono gli ultimi slanci di una consultazione che non poteva non creare simpatia per il suo forte senso di partecipazione.
Esattamente, se dovessimo metterci d'accordo, cos'è la partecipazione politica? È l'istituzione di percorsi che abbiano l'occasione e la forza di sovvertire le decisioni della segreteria. Nessuna partecipazione è più lampante di quella che porta a un risultato inatteso. E le primarie in fondo avevano quella forza lì, di imprimere una direzione che appariva condivisa, popolare e quindi più genuinamente politica; e Matteo Renzi (quel giovane Renzi che pareva essere uno dei pochi in grado di connettersi alla base del suo partito) incarnava perfettamente la voglia di destrutturare un partito diventato fin troppo barboso, pesante e distante. Per questo il risultato delle primarie romane è un brutta notizia anche per il Presidente del Consiglio, nonostante la sicumera con cui i dirigenti democratici lanciano annunci trionfali.
A Roma, ieri, hanno votato metà delle persone che si erano scomodate tre anni fa. Metà se vogliamo dare credito ai numeri ufficiali dati dal commissario romano Matteo Orfini, poiché le testimonianze di chi c'era invitano a prendere con molta prudenza i numeri che vengono comunicati. A Roma votano metà delle persone che tre anni fa furono considerate un flop. "La chiacchiere stanno a zero" ha twittato stamattina qualche onorevole del PD, convinto che si possa millantare anche sui numeri, come un pacifista qualsiasi.
Eppure il fatto che la gente preferisca non andare a votare (forse perché tre anni fa si erano già scomodati per indicare un sindaco che è stato rimosso dalla segreteria di partito piuttosto che dai cittadini) è un brutta notizia un po' per tutti: al di là delle esultanze dei partiti concorrenti (perché si concorre, oggi, in politica, mica si costruisce) ogni persona che perde fiducia nella forza del proprio voto è un cittadino regalato alla delega senza cittadinanza, all'agire indisturbato dei soliti noti.
Il crollo dei voti ad Ostia, ad esempio, in un luogo così schiacciato da mafie e malaffare è un'ottima notizia per i criminali, prima di tutto. Ecco: nel duello dei numeri oggi esultano tutti coloro che guadagno dall'appiattimento civico e di sicuro non sono individui augurabili. Esultare per l'insuccesso della politica è ultimamente tremendamente chic ma pericoloso. Molto pericoloso.