Un dipendente su sei in Italia fa straordinari non pagati, la nuova indagine di Inapp
In Italia, più di un lavoratore dipendente su sei fa straordinari non pagati. L'ultima indagine dell'Inapp (Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche) rivela che gli straordinari sono un modalità di lavoro che riguarda il 60% dei lavoratori. Ma il 15,9% di questi non viene retribuito per il lavoro extra.
A fare gli straordinari sono quasi due terzi degli uomini (il 64,7%) e una percentuale leggermente più bassa delle donne (il 54,1%, comunque più di una lavoratrice su due). Nella maggior parte dei casi (51,2%), il motivo per cui ci si dedica a un turno straordinario è che il posto di lavoro ne ha bisogno: ci sono carichi eccessivi, oppure carenza di personale. Alcuni lo fanno invece per guadagnare di più: il 18,4%. Quasi un lavoratore su dieci che fa straordinari (l'8,1%) dichiara che non può rifiutare di farli, quando il datore di lavoro lo chiede.
Sottoccupazione e orari di lavoro "antisociali", gli altri problemi del lavoro in Italia
Secondo i calcoli di Inapp, in Italia ci sono circa 900mila persone che hanno un lavoro part time involontario – cioè che vorrebbero lavorare a tempo pieno, ma non ne hanno la possibilità – che sono tenuti a lavorare di notte o nei giorni festivi. Questi sono quelli che Inapp definisce orari "antisociali". In generale, a essere sottoccupati (ovvero a lavorare meno di quanto vorrebbero) sono soprattutto le donne, i lavoratori con bassi titoli di studio, i residenti nel Nord-Ovest oppure nel Sud e nelle Isole, e chi lavora in aziende di piccole dimensioni.
Ma il tema dei tempi di lavoro ‘sfasati' è più ampio. Più o meno la metà degli occupati presi in considerazione per l'indagine (sono stati circa 45mila) deve lavorare in orari "antisociali". Il 18,6% di loro lavora sia nei festivi che di notte, il 9,1% evita la notte ma deve lavorare di sabato e nei festivi, e il 19,3% svolge la propria attività di notte, ma riposa durante i giorni festivi.
"L'Italia deve sperimentare, settimana corta e orario ridotto"
La domanda di lavoro in Italia "richiede spesso disponibilità che confliggono con le esigenze di vita", ha detto Sebastiano Fadda, presidente dell'Inapp. In alcuni settori, "come il commercio o la sanità", o per professioni specifiche "come quelle dei servizi" il lavoro in questi tempi antisociali è "connaturato alla natura della prestazione, ma è anche vero che questa modalità sembra diffondersi anche dove non è strettamente necessaria".
Il lavoro nelle fasce orarie "antisociali" è particolarmente pesante per chi ha dei carichi di cura, come una famiglia di cui occuparsi, perché deve lavorare quando la maggior parte dei servizi non sono disponibili. Per Fadda, l'Italia deve "superare vecchi modelli di organizzazione del lavoro che incidono pesantemente sui tempi di vita. Il mondo del lavoro è sempre più digitale, veloce, in costante evoluzione, ma per gran parte dei lavoratori ‘tradizionali' si presentano problemi ancora irrisolti sul piano della distribuzione degli orari di lavoro". Bisognerebbe invece guardare a quelle situazioni in cui "si avviano sperimentazioni di orario ridotto o settimana corta".
Permessi, uno su cinque non lo chiede per motivi personali (soprattutto donne)
L'ultimo aspetto su cui si concentra Inapp ha di nuovo a che fare con l'equilibrio tra vita e lavoro, ed è quello dei permessi. Un occupato su cinque (il 21,3%, sono circa 4,7 milioni di persone in Italia) dichiara che non può – o non vuole, perché non è ben visto – prendersi permessi dal lavoro per motivi personali. Gli uomini hanno più autonomia da questo punto di vista, in media. Al contrario, per le donne emerge "la pressione di un contesto che disincentiva l'uso dei permessi", spiega Inapp.