La triste vicenda Uber-tassisti milanesi, l’indecoroso can-can scatenato a Milano a margine del Wired Next Festival, ha un solo aspetto davvero rilevante. Rappresentanti della società californiana, dei tassisti e del comune di Milano avrebbero dovuto discutere fra loro in un incontro pubblico a Milano sabato scorso. L’incontro non si è tenuto per l’intervento violento di qualche centinaio di tassisti esagitati. L’unico punto rilevante è quindi questo: si è trattato di un gesto di prevaricazione violenta senza scusanti.
Ma accanto a questo che è – lo ripeto – l’unico tema di cui sarebbe il caso di parlare, ve ne sono altri, meno importanti ma lo stesso molto complicati, stimolanti e del tutto contemporanei.
La semplificazione, per chi si accontenta, è facile e un po’ bugiarda. Uber è il futuro (una delle sue forme possibili), i tassisti sono i dinosauri poco prima del meteorite. La politica, terzo incomodo, fa la politica: si barcamente fra i propri legami di conservazione e il desiderio di mostrarsi moderna ai propri cittadini.
Sia chiaro: dovessi dedicare tre righe alla vicenda darei tranquillamente alle stampe questa semplificazione. Ma poiché di righe ne ho altre allora provo a spiegare perché, in casi del genere, il muro contro muro fra vecchio e nuovo non è l’unica lettura possibile.
La sharing economy funziona in genere così: attiva i cittadini incrinando i modelli economici consolidati. A un certo punto Uber si è infilata in quello iato che la tecnologia ha creato fra la norma e le nuove prassi sociali, uno spazio che nel tempo è andato via via allargandosi.
Nei Paesi in cui il controllo normativo è leggero questa dimensione può essere colonizzata spesso senza grandi conseguenze. Troppo forte è il debito di riconoscenza che, per esempio, la società americana ha nei confronti dell’innovazione, per poter immaginare di taglierle le ali. Per esempio la rivolta degli albergatori newyorkesi contro Airbnb, altra azienda emergente in questa nuova economia, non riguarda tanto la concorrenza sleale di chi affitta il proprio appartamento via Internet quanto il fatto che questa rendita non sia fiscalmente considerata in maniera analoga a quella degli hotel.
In Paesi come il nostro, dove esiste una norma per ogni singolo petalo che cade da ogni fiore, praticare l’innovazione senza pestare i calli a nessuno è invece pressoché impossibile. In altre parole non abbiamo alternative: se desideriamo cambiare il Paese qualche piccolo o grande potentato ci toccherà prima o poi sfiorarlo.
Il problema dei tassisti è che, come ogni lobby grande o piccola (l’Italia ha lobby di ogni tipo, sbucano da ogni angolo ed hanno un fitto programma che chiedono sia rispettato), l’unica mediazione che questi signori concepiscono è che l’innovazione sparisca. La scacciano come una mosca fastidiosa; nei casi peggiori, in nome degli interessi di categoria, due o trecento persone sono disposte ad andare un sabato pomeriggio ad un evento pubblico per impedire che ogni discussione al riguardo avvenga. Con tanti saluti per la democrazia.
E qui si capisce che il problema è doppiamente politico, oltre che, nel caso di Milano, di ordine pubblico. Perché la politica non può essere schiava dei tassisti e non può nemmeno considerare l’innovazione come un percorso ineluttabile che avviene comunque e in automatico a spese dell’esistente. Nel caso di Uber vs. Taxi, come in molti altri casi che seguiranno, il tema politico è immaginare la convivenza di entrambi i modelli fino al giorno in cui, come sempre accade, uno prevarrà sull’altro per ragioni che non siano né quelle della protezione dell’esistente e nemmeno quelle dell’idolatria verso le nuove opzioni tecnogiche.
Perché questo avvenga occorrono nuovi spazi ed alcuni passi indietro, dialogo e comprensione reciproca ma, sopra ogni cosa, occorre una politica forte che interpreti compiutamente il proprio ruolo di collante sociale.
Ci vuole insomma, per tutto questo, un coraggio che la giunta Pisapia sul caso Uber davvero per ora non ha avuto, arrendevole e preoccupata come da tradizione nei confronti delle tante categorie che hanno strumenti per bloccare il Paese e che, in casi limite come quello di sabato scorso, possono perfino permettersi di tacitare con violenza le persone senza patirne alcuna conseguenza.