Tutto quello che c’è da sapere su somministrazioni dei vaccini AstraZeneca e Johnson agli under 60
La campagna vaccinale prosegue con la somministrazione delle dosi anche alle persone più giovani. Ma l’inoculazione dei vaccini anti-Covid spesso non segue le indicazioni dell’Aifa, secondo cui la somministrazione dei preparati di AstraZeneca e Johnson & Johnson è raccomandata per le persone con più di 60 anni, sconsigliandola quindi per i più giovani. Questa tendenza, dimostrata dai dati delle vaccinazioni nell’ultimo mese e con notevoli differenze regionali, ha portato molti esperti a chiedere di sospendere le vaccinazioni degli under 60 con questi due vaccini, entrambi a vettore virale. Roberta Villa, giornalista scientifica e autrice del libro ‘Vaccino. Mai così temuti mai così attesi’, parlando con Fanpage.it prova a fare chiarezza sulla somministrazione di AstraZeneca e Johnson & Johnson agli under 60, delineando i rischi e i benefici e spiegando come è cambiata la valutazione di questi vaccini nelle ultime settimane.
I vaccini AstraZeneca e Johnson & Johnson per gli under 60
Sulla base dei dati finora pubblicati dalle agenzie regolatorie e sulle riviste specializzate ciò che sappiamo è che “questo fenomeno con la sigla Vitt non è una comune trombosi”, spiega Villa. Sappiamo, inoltre, che non è possibile stabilire ad oggi delle “condizioni di predisposizione” a queste trombosi rare e non si può dire, per esempio, che “prendere la pillola aumenta il rischio: non c’è nessuna correlazione” provata. Per questo motivo e per “il meccanismo particolare di questa risposta rarissima al vaccino, non si può capire – attraverso degli esami – chi può andare incontro” al rischio di Vitt.
Questa reazione, sottolinea Villa, è “rarissima, molto più rara di quella che consegue alla somministrazione di eparina, prescritta a tutti. Stiamo parlando di una reazione molto molto rara. I dati, i numeri non li do perché sono molto discordanti tra di loro e dipendono anche da come vengono raccolti. Inizialmente sembrava fossero 3-4 casi su un milione di vaccini, ora si dice alcuni casi ogni 10mila. Quello che sappiamo è che sono casi molto più rari di altri effetti indesiderati da farmaci”. Inoltre, si è osservato che questi effetti sono più frequenti “nelle donne e nelle donne giovani e aumentano allo scendere dell’età, un andamento speculare al rischio legato al Covid che aumenta con l’aumentare dell’età”.
Il rapporto rischi-benefici nelle vaccinazioni con Az e J&J
Nessuna certezza assoluta, ma bisogna effettuare un bilanciamento tra rischi e benefici, con i due piatti della bilancia che scendono o salgono “in relazione all’aumento o al diminuito rischio di malattia e di effetto indesiderato”. Per i vaccini il rischio è “minimo nelle persone di almeno 50-60 anni, mentre cresce un pochino, pur restando rarissimo, nelle persone più giovani”. Le tabelle pubblicate dall’Ema mostrano che con una circolazione consistente del virus “i vantaggi del vaccino sono notevolmente superiori ai rischi anche nei più giovani”. Ma ora il rapporto tra rischi e benefici viene in parte rivalutato perché ci “troviamo in una situazione diversa: oggi in Italia abbiamo una bassa circolazione, paragonabile a quella che ha portato ad altre scelte in Nord Europa, dove è stata sospesa definitivamente la somministrazione” del vaccino AstraZeneca negli scorsi mesi, come avvenuto in Danimarca e Norvegia.
Oggi in Italia la circolazione del virus è bassa e quindi il “rischio di morire a 20-30 anni è quasi zero, mentre il rischio di complicazioni da vaccino è di 1 su 100mila, raro ma comunque esiste”. Motivo per cui “può essere ragionevole ripensare a questa somministrazione sotto i 60 anni, mentre sopra questa età le morti prevenute con il vaccino sono comunque il triplo dei casi rispetto a queste complicazioni”. Per i ricoveri in terapia intensiva, facendo un raffronto, “il vantaggio si registra sempre dai 60 anni in su”, mentre per i ricoveri normali il vantaggio del vaccino è maggiore dai 50 in su: “Tra i 50enni il rapporto è 10 a 1, tra i 60enni è di 20 a 1”. Questi sono i dati scientifici, ma le scelte politiche dipendono “anche dalla strategia vaccinale nel suo insieme: per esempio la Norvegia, con una bassa circolazione del virus e la disponibilità dei vaccini a mRNA (come Pfizer e Moderna, ndr) a sufficienza ha deciso di sospenderlo. Negli Usa AstraZeneca non è neanche stato autorizzato”.
Nel rapporto rischi-benefici c’è da considerare l’importanza di vaccinare quante più persone possibili – anche tra i più giovani – per mettere al sicuro tutti i cittadini, anche quelli più anziani non vaccinati o che si sono vaccinati ma non sono del tutto al riparo. “Dai 60 anni in su – spiega Villa – la probabilità di andare in ospedale è ancora discreta e meno della metà delle persone sopra i 60 anni è stata vaccinata. Siamo ancora in una situazione di esposizione grave”. Escludendo il concetto di immunità di gruppo, “traguardo non raggiungibile perché non vaccineremo il 100% della popolazione”, resta il fatto che “più persone si vaccinano e più si riduce la circolazione”. E non bisogna pensare di esserne già fuori, come dimostra il Regno Unito, dove “i casi aumentano” con la variante delta, più contagiosa, che “si diffonde: quindi bisogna vaccinare i giovani e ritornare a intervalli accorciati di 21-28 giorni tre le due dosi” proprio per rallentare la diffusione delle varianti come quella indiana.
Villa spiega i problemi di AstraZeneca: dalla confusione alla comunicazione
Tra i cittadini, però, la confusione è inevitabile, anche a causa di una “comunicazione confusa, perché anche gli over 60 hanno percepito questo come un vaccino di serie b, ma in realtà non è vero, la protezione è buona e il rischio praticamente nullo”, spiega ancora Villa. Il problema è principalmente di comunicazione, quindi. Bisogna, ora, cercare di spiegare agli over 60 che “loro non rischiano” con questi vaccini. E si dovrebbe tentare di somministrarli esclusivamente a loro, anche grazie al fatto che ci sono molte dosi di Pfizer a disposizione, il che – secondo la giornalista – potrebbe “portare a ridurre iniziative come gli open day AstraZeneca”. Discorso simile dovrebbe valere per Johnson & Johnson, su cui si hanno meno dati ma “il meccanismo d’azione è probabile sia lo stesso”. Altro discorso è quello delle seconde dosi di AstraZeneca: “Il periodo tra le due dosi (intorno ai tre mesi, ndr) espone maggiormente al rischio delle varianti come quella delta, quindi è difficile dire cosa sia meglio fare. In più sulla seconda dose non c'è certezza che non possa essere altrettanto ‘pericolosa’ della prima. Inoltre stiamo aspettando i risultati degli studi sulla seconda dose di un vaccino con Rna messaggero dopo una prima dose con AstraZeneca”.
Cosa fare delle dosi di AstraZeneca e Johnson & Johnson
La possibilità di accantonare, almeno in parte, le dosi di AstraZeneca e Johnson & Johnson deriva anche dall’aumento delle consegne da parte di Pfizer. In questo momento, in cui vengono vaccinati molti giovani, “la priorità resta comunque chi ha più di 60 anni: dobbiamo raggiungerli, se abbiamo delle dosi di AstraZeneca con queste dobbiamo raggiungere gli ultra 60enni. È meglio lasciare indietro un po’ di giovani ma insistere sugli ultra-sessantenni. Rallentare la diffusione del virus è importante, vaccinare i giovani è importante, ma la priorità è sempre evitare ricoveri e complicanze gravi”. L’obiettivo della campagna vaccinale, quindi, deve essere quello di “far quadrare le forniture con le fasce d’età, un calcolo che solo ogni Regione può fare sulla base di popolazione, richiami, hub”.
Le possibili nuove raccomandazioni per il vaccino AstraZeneca
Una delle ipotesi lanciate nelle ultime ore è quella di emanare nuove raccomandazioni e somministrare i vaccini AstraZeneca e Johnson & Johnson alle donne sopra i 50 anni e agli uomini sopra i 40. Il rischio, spiega la giornalista scientifica, è di “confondere ulteriormente. Io penso che questi ulteriori cambiamenti, basati su stime e pareri personali, stabilendo altre due soglie magari diverse per uomini e donne dopo tutta la confusione fatta, sarebbero ancora peggio dal punto di vista comunicativo”. Il problema resta principalmente comunicativo: “AstraZeneca all’inizio è stato riservato ai più giovani, poi è stata capovolta la decisione iniziale, senza spiegare adeguatamente alle persone come e perché, alla fine viene percepita come una questione di sicurezza”.
Le soluzioni possibili per AstraZeneca e Johnson & Johnson
Qual è, allora, la miglior soluzione possibile per questi vaccini? “Penso che dovremmo continuare a dare AstraZeneca agli ultra 60enni, magari per i più giovani preferire gli uomini alle donne, ma non come norma”, replica l'esperta. Di certo, sottolinea Villa, “non c’è una soluzione semplice, ma la direzione in cui bisogna andare è spiegare alle persone sopra i 60 anni che non corrono nessun rischio, ma solo vantaggi a ricevere AstraZeneca, pur con una difficoltà di una seconda dose più tardiva che li espone di più. Per chi deve fare la seconda dose, poi, penso si debba fare in tranquillità, anche nelle donne giovani: i rischi sono comunque molto inferiori rispetto a farmaci che normalmente usiamo”. Presto, comunque, l’Italia potrebbe smettere di utilizzare i vaccini a vettore virale, con l’arrivo di ingenti dosi di quelli a Rna messaggero. Una delle opzioni è quella di fornire questi vaccini al programma Covax, “purché questo non venga interpretato come dare ad altri vaccini che noi non vogliamo. D’altronde è un problema che hanno anche gli Stati Uniti, che hanno un enorme quantitativo di Johnson & Johnson in scadenza che non riescono a somministrare”. Queste dosi, quindi, potrebbero essere date a quei Paesi più poveri che hanno bisogno del vaccino al più presto e in cui, sicuramente, il rapporto tra rischi e benefici è ben diverso e anche vaccini come quello di AstraZeneca o di Janssen sono essenziali, con vantaggi decisamente superiori ai rischi.