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Opinioni

Tutto quel che Meloni non dice sul futuro nero che aspetta l’economia italiana

In una lunga intervista, Giorgia Meloni difende l’operato del governo su extraprofitti, salario minimo e Pnrr. Quel che non dice, però, è che il futuro è nero. E gli strumenti a disposizione per farvi fronte, sempre meno.
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In una lunga intervista a giornaloni unificati dalle sue vacanze di Ceglie Messapica, Giorgia Meloni ha rotto il silenzio sulle polemiche che seguono la decisione del governo di tassare gli extraprofitti delle banche e sul tavolo aperto – e subito richiuso – con le opposizioni sul salario minimo e sul lavoro povero. L’ha fatto, va detto, con dovizia di dettagli, e senza nascondersi dietro un dito, soprattutto rivendicando la tassa alle banche, per la quale era stata sommersa dalle polemiche, anche all’interno della sua maggioranza.

Quel che Meloni non ha fatto, semmai, è spiegare perché si è reso necessario andare a prendere quei 3 miliardi agli istituti di credito. O meglio ancora, perché quel provvedimento è la conseguenza di una duplice tagliola sull’Italia: quella di una crescita economica molto inferiore rispetto alle attese e quella di un bilancio pubblico in cui è molto difficile far quadrare i conti.

Partiamo dalla crescita. Le previsioni dell’Ocse di un paio di mesi fa dicono che che la crescita del PIL rallenterà in Italia dal 3,8% del 2022 all'1,2% quest'anno, all'1% nel 2024. La colpa, dice l’Ocse, è, manco a dirlo, dell’inflazione, che sta erodendo i redditi reali a causa della modesta crescita salariale e delle condizioni finanziarie si stanno inasprendo.

Sono previsioni, peraltro, che non tenevano conto dell’inatteso meno 0,3 del secondo trimestre e dell’ancor meno atteso calo delle presenze turistiche, che ha fatto segnare un calo della domanda del 30%, 800 mila presenze in meno ad agosto e un Ferragosto che, dopo anni di crescita, non sarà da tutto esaurito. Fisiologico pensare, insomma, che i calcoli possano essere ulteriormente rivisti al ribasso.

Aggiungiamo al cocktail pure il taglio del progetti legati al Pnrr, che secondo le previsioni avrebbe avuto un impatto di 3 punti percentuali di PIL da qui al 2026. Meloni assicura che il governo non taglierà nulla, e che le opere saranno portate avanti, ma i dubbi sono leciti, considerando la nostra difficoltà a spendere i soldi europei, a rispettare le scadenze, a far partire i cantieri, e tutti i ritardi che già abbiamo accumulato in questi mesi.

Certo, dice Meloni, l’occupazione è ai massimi storici, ma se il lavoro è sottopagato e precario e soprattutto se si indeboliscono le tutele a chi il lavoro lo perde è molto difficile che tutto questo si riverberi in un crescita dei consumi. Ed è questo il motivo per cui la battaglia ideologica contro il reddito di cittadinanza sembra totalmente fuori tempo e fuori contesto. Così come il teatrino sul salario minimo, che avrebbe meritato altro, rispetto all’ammuina con le opposizioni alla vigilia delle ferie d’agosto.

Il problema è che le pantomime, per l’appunto, sono la regola, quando in cassa non c’è un soldo, e bisogna fare le nozze coi fichi secchi. Che è quel che toccherà al governo – altra cosa che Meloni non dice – con la prossima legge di bilancio e con quella successiva, per una serie di motivi. Il primo: che la diminuzione dell’inflazione, figlia dell’aumento dei tassi d’interesse, è una buona notizia per i consumatori, ma un doppio brutto colpo per i grandi debitori come lo Stato italiano, che vede crescere il costo del rifinanziamento del suo già gigantesco debito pubblico. E che, per effetto del rallentamento dell’economia, deve mettere pure in previsione una crescita del rapporto debito/Pil, che grazie all’inflazione – e non a chissà quale taumaturgia del governo attuale o di quello precedente – era sceso sotto quota 150%.

Ciliegina sulla torta: il prossimo anno le nostre leggi di bilancio torneranno a essere esaminate dalla Commissione Europea, dopo anni di deroga a seguito dalla pandemia di Covid-19. In altre parole, bisognerà tornare a rispettare le regole europee su debito e deficit. E quindi a combattere con gli eurocrati per qualche decimale di spesa in più. E quindi a fare i conti con le turbolenze dei mercati e dello spread. Oggi a quota 163, e quindi relativamente in sicurezza. Domani, chissà.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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