Dopo oltre 60 giorni di stallo e nessun accordo politico all'orizzonte, il presidente della Repubblica, rassegnato, ha proposto la formazione di un governo neutrale che possa traghettare il Paese fino a dicembre, ovvero fino all'approvazione della prossima legge di bilancio, per scongiurare l'aumento dell'Iva al 25% e le speculazioni finanziarie che un nuovo voto e il perdurare dello stallo istituzionale potrebbero produrre, sottolineando che in caso di accordo politico tra le forze parlamentari questo governo tecnico si sarebbe immediatamente dimesso per lasciare spazio a un governo politico con pieni poteri. Insomma, una soluzione ponte che da un lato cerca di far uscire il Paese dal pantano istituzionale che si è creato e dall'altro mira a concedere ulteriore tempo ai partiti per trattare la nascita di un'alleanza di governo.
Immediatamente, a pochi minuti dall'annuncio del capo dello Stato, i leader politici – Salvini, Meloni e Di Maio soprattutto – hanno fortemente criticato l'ipotesi messa sul piatto da Sergio Mattarella e hanno iniziato a paragonare questo "governo di tregua" all'odiatissimo esecutivo tecnico di Mario Monti. "Il bilancio dell'ultimo governo neutrale. No al Monti Bis: +20 miliardi di tasse, +128 miliardi di debito pubblico, + 644mila disoccupati, -3% Pil", scrive oggi Giorgia Meloni, snocciolando un po' di dati a caso. Dello stesso avviso anche il leader della Lega Matteo Salvini, che da anni si scaglia contro il governo dei tecnici e in particolare contro l'ex ministro del Lavoro e madre della riforma pensionistica, Elsa Fornero. Anche Di Maio vede come fumo negli occhi l'ipotesi paventata dal presidente Mattarella e ha dichiarato: "Noi un governo neutrale non lo votiamo perché significherebbe portare al governo persone che non hanno una connessione con la popolazione e rischierebbero solo di far quadrare i conti con un effetto simile a quello del governo Monti".
Insomma, Mario Monti e il governo tecnico sono l'origine di tutti i mali per i leader dei maggiori partiti italiani che da 60 giorni non riescono a sedersi a un tavolo per costituire un'alleanza programmatica che possa dar vita a un esecutivo. Ma davvero Mario Monti e il governo tecnico fecero così male all'Italia? Non è che in questa narrazione anti-governo neutrale, i nostri prodi si stanno dimenticando qualche piccolo e trascurabile dettaglio? Perché nel novembre 2011 arrivarono i tecnici alla guida del Paese e per quale motivo in quell'anno e mezzo Monti e i suoi ministri vararono una serie di riforme "lacrime e sangue" e aumentarono la tassazione di 20 miliardi di euro? Per divertimento o per necessità?
Torniamo al 2011 e ricordiamo qualche fatto incontrovertibile: ricordate l'esplosione della crisi del debito pubblico, lo spread e il rischio declassamento per l'Italia? All'epoca governava Berlusconi e il ministro dell'economia era Giulio Tremonti. Nel gennaio di quell'anno lo spread era pari a 173 punti, a novembre toccò quota 574 punti. Celebre fu la prima pagina del Sole 24 Ore del 10 novembre 2011, un immenso titolo a nove colonne in prima pagina lanciava l'allarme: "Fate presto". La situazione era fuori controllo, da gennaio a novembre lo spread era cresciuto di 400 punti, i conti pubblici erano sull'orlo del dissesto e il Paese rischiava di essere commissariato dalla cosiddetta "Troika".
Nell'estate 2011, lo spread iniziò a crescere sempre di più, a ritmi incessanti, e il governo Berlusconi era letteralmente assediato dagli ultimatum europei: a settembre Standard & Poor's declassa l'Italia e la reazione dei mercati sui titoli italiani fu molto dura, il Paese era considerato a serio rischio fallimento; a ottobre Francia e Germania chiedono a Berlusconi di attuare le riforme necessarie ad arginare la situazione. Poche settimane dopo, dopo mesi di indiscrezioni giornalistiche, l'ex rettore ed ex presidente dell'Università Bocconi, Mario Monti, viene nominato senatore a vita dal presidente Napolitano e il 12 novembre riceve l'incarico di governo.
Dalla grande crisi economica scatenatasi nel 2008, il Belpaese non sembrava in grado di riuscire a riprendersi, complice proprio la zavorra del debito pubblico fuori dai parametri europei e in costante crescita. Per farla breve, al Paese servivano le cosiddette riforme, in caso contrario difficilmente lo Stato avrebbe avuto i soldi per continuare a pagare stipendi ai dipendenti pubblici, pensioni ed erogare servizi essenziali. Monti e i suoi ministri si trovano dunque costretti a guidare un Paese sull'orlo del baratro e a dover implementare tutte le misure necessarie a evitare la catastrofe e il fallimento dello Stato Italiano, a sbrogliare la matassa di problemi che la politica ha aggrovigliato per decenni senza preoccuparsi mai di porvi rimedio.
E così, nel giro di un anno e mezzo arrivarono la riforma delle pensioni di Elsa Fornero, l'Imu sulla prima casa, il decreto salva-Italia con 30 miliardi di gettito in 3 anni, il pareggio di bilancio in Costituzione, le liberalizzazioni, un decreto per la razionalizzazione della spesa pubblica, insomma arrivarono la cosiddettà "austerità" e le impopolari riforme economiche, fiscali e previdenziali che l'Unione europea chiedeva all'Italia da molti anni e che il Paese si era impegnato a implementare da anni ratificando i trattati europei nel corso degli anni '90 e 2000. Le riforme e l'innalzamento della tassazione ebbero di primo achitto un effetto recessivo, ma erano necessarie a evitare il default del Paese e in quel periodo l'talia non si avrebbe mai potuto permettersi misure espansive perché, banalmente, "non c'erano soldi". Queste misure impopolari e previste dai trattati europei da molti anni vennero affidate a dei tecnici perché per molti anni i politici bisognosi di consenso avevano procrastinato la loro entrata in vigore per paura di perdere le elezioni, portando il Paese sull'orlo del baratro.