Tutte le quote del governo Meloni per la riforma delle pensioni: cosa cambierà l’anno prossimo
Le quote per il prossimo anno sono già disponibili e si accettano scommesse sul futuro pensionistico di questo Paese: 41, 96 e 103. Non sono numeri da giocare, né un linguaggio in codice, ma più semplicemente le ultime tre opzioni per evitare che nel 2024 si torni alla legge Fornero. È più o meno l'incubo di chi si occupa – e si è occupato – di previdenza negli ultimi anni: ogni volta che si supera la metà dell'anno, si torna a parlare della riforma delle pensioni. Riforma che poi, alla fine, nessun governo riesce a mettere in atto e a finanziare, finendo per varare una soluzione temporanea. Un semplice ponte che allontani il problema di un anno. E poi via daccapo.
Fino alla fine del 2023, si potrà andare in pensione con quota 103: servono necessariamente almeno 62 anni di età anagrafica e 41 di contributi versati. La prima ipotesi sul tavolo del governo Meloni è quella di rinnovare la misura per un altro anno. Sarebbe l'ipotesi meno costosa, al momento. Certo, la meno costosa in assoluto è il ritorno alla legge Fornero, ma ovviamente non è contemplabile. E il governo non sembra intenzionato a procedere – come chiede l'opposizione – a degli scivoli pensionistici dedicati ad alcune specifiche categorie, come i lavoratori che svolgono mansioni usuranti.
Proseguendo sulla strada dell'uscita dal lavoro sulla base dell'età, contributiva e anagrafica, la seconda opzione è quota 41. Questo resta il vero grande obiettivo di legislatura del governo: permettere a tutti di andare in pensione con 41 anni di contributi versati, a prescindere dall'età anagrafica. Il costo di questa operazione, però, al momento sembra insostenibile: si parte da 4 miliardi nel 2024 per arrivare a 75 miliardi di spesa in dieci anni.
Terza e ultima opzione: quota 96. Cancellata dalla legge Fornero, riguarderebbe solo i lavoratori che svolgono attività usuranti: si andrebbe in pensione con 60 o 61 anni di età e 35 di contributi versati. Resta poi sullo sfondo la questione di Opzione Donna, su cui il governo Meloni ha tradito tutte le promesse fatte.
Da qui a fine anno, il governo dovrà decidere che strada prendere. Il tavolo sulle pensioni è stato definito "inutile" a più riprese dai sindacati, che non trovano costruttiva la modalità scelta dal governo per confrontarsi con loro. Al ministero del Lavoro si riflette sulle varie ipotesi, ma la risposta arriverà quando si comincerà a scrivere la manovra di Bilancio e ci si renderà conto di quanti soldi si potranno investire sulla previdenza. Pochi, a occhio e croce. Se non pochissimi.