"Le mie dimissioni sono esecutive, sono già fuori senza scontri e polemiche, con grande serenità" – 5 marzo 2018
"Non c'è nessuna fuga. Terminata la fase dell'insediamento del Parlamento e della formazione del governo, io farò un lavoro che mi affascina: il senatore semplice" – 5 marzo 2018
"Le elezioni sono finite, il Pd ha perso, occorre voltare pagina. Per questo lascio la guida del partito. Non capisco le polemiche interne di queste ore. Ancora litigare? Ancora attaccare me?" – 6 marzo 2018
"Ora starò zitto per due anni" – 23 marzo 2018
Matteo Renzi l'ha fatto di nuovo. Per l'ennesima volta, l'ex presidente del Consiglio è tornato all'attacco e in diretta tv, a soli 3 giorni dalla direzione nazionale convocata appositamente per discutere della proposta, ha posto il veto sull'accordo di governo Pd-M5S come fosse ancora il segretario del Pd, squalificando di fatto il reggente Maurizio Martina. L'intervista concessa ieri da Matteo Renzi ha scatenato un vero e proprio terremoto politico, soprattutto all'interno del Partito Democratico, e ha definitivamente posto fino a qualsiasi trattativa con il Movimento 5 Stelle. Come da antica tradizione renziana, per l'ennesima volta Matteo Renzi torna al comando del Pd e detta la linea, pur essendo formalmente privo di ruoli apicali all'interno del partito per sua stessa volontà e ammissione.
A distanza di un anno e mezzo dal tragico referendum del 4 dicembre 2016 – la cui disfatta risulta ancora indigesta a Renzi tanto che a distanza di mesi continua a rivangare la mancata approvazione della riforma costituzionale da parte degli italiani a ogni occasione – Renzi tiene fede alla stessa incoerenza politica che l'ha condannato all'irrilevanza alle urne e l'ha portato a dimezzare il consenso del Partito Democratico, dimostrando ancora una volta l'assoluta inconsistenza delle pubbliche dimissioni rese dopo la debacle elettorale dello scorso 4 marzo.
Nonostante alla guida del Partito Democratico ci sia formalmente e ufficialmente il reggente Maurizio Martina, di fatto a Matteo Renzi è bastata un'intervista concessa a "Che tempo che fa" per far capire chi davvero detta la linea all'interno del Pd e dei gruppi parlamentari dem alla Camera e al Senato, composti per la maggior parte da fedelissimi renziani appositamente selezionati dall'allora segretario durante la nottata di composizione delle liste elettorali che provocò una delle tante sommosse all'interno del partito.
Come molti rilevarono all'indomani delle elezioni dello scorso 4 marzo, l'ex segretario del Pd, sia pur dimissionario, controlla ancora il partito e non fa nulla per nascondere il suo potere occulto, anzi lo ostenta con sottile sfrontatezza, nonostante le dichiarazioni pubbliche rese nelle ultime settimane. Così, dopo settimane di "le mie dimissioni sono vere", "farò il senatore semplice" e "ora starò zitto per due anni", Matteo Renzi è tornato a guidare platealmente non tanto una rivolta contro i 5 Stelle, quanto quella contro Maurizio Martina e la minoranza dem aperta al confronto con i pentastellati.
L'intervista concessa ieri era a Fabio Fazio aveva in sostanza un unico scopo: far capire al segretario reggente Martina chi comanda davvero la pattuglia parlamentare dei dem e chi decide davvero se la trattativa con il Movimento 5 Stelle s'ha da fare oppure no. Dopo settimane di silenzio, da dimissionario Matteo Renzi è tornato a dettare platealmente la linea, come se da segretario Pd non si fosse mai dimesso. Esattamente come un anno e mezzo fa, Renzi sembra riproporre lo stesso format, riappropiandosi del comando del Pd mediante incoronazione plebiscitaria sancita direttamente dai #senzadime, che ne chiedono a gran voce il ritorno. Esattamente come un anno e mezzo fa, anche questa volta Matteo Renzi riproporrà la propria candidatura a segretario del Partito Democratico, scalzando il vice e compagno di ticket, Maurizio Martina? Le premesse non fanno presagire nulla di buono:
"Non è personalizzazione, ma serietà. Se io perdo, con che faccia rimango? Ma non è che vado a casa, smetto proprio di fare politica" – 8 maggio 2016
"Io non sono come gli altri. Io se perdo vado a casa perché non resto se gli italiani bocciano la riforma più importante del mio mandato" – 22 maggio 2016
"Io voglio vincere il referendum. Se lo perdo, troveranno un altro premier e un altro segretario" – 1 giugno 2016
"Adesso siamo a un bivio: se passa la riforma, finisce il tempo degli inciuci. Se non passa, torniamo nella palude. E visto che tutti i cittadini dichiarano a parole di non volere la palude, io sono fiducioso che vinceremo bene. Ma se ciò non avvenisse,che resto a fare in politica? Non sono come gli altri, io. Se il referendum andrà male continuerò a seguire la politica come cittadino libero e informato, ma cambierò mestiere. Vuole uno slogan semplice? O cambio l'Italia o cambio mestiere" – 2 giugno 2016
"Dicono che ho sbagliato a dire che se perdo vado a casa: e secondo voi io posso diventare un pollo da batteria che perde e fa finta di nulla? Pensano forse che io possa diventare come loro? Accusano me di voler personalizzare perchè loro sono preoccupati che in Italia si affermi il principio sacrosanto che chi perde va a casa" – 29 giugno 2016
“Io ho perso. Dopo ogni elezione resta tutto com’è. Io sono diverso: non sono riuscito a portarvi alla vittoria. Ho fatto tutto quello che si potesse fare in questo momento” – 4 dicembre 2016
"Io volevo smettere davvero, l'esperienza umana è stata meravigliosa, io non sono di quelli che escono con il broncio, non posso che dire grazie. A farmi cambiare idea sono state le 26.000 mail ricevute in quei giorni e che dicevano ‘non è colpa tua, torna a combattere'" – 12 luglio 2017