Chi non ricorda l’attore comico Antonio Cornacchione e il tormentone “povero Silvio!”, che in modo esilarante pretendeva di trasformare l’allora imperante Berlusconi nella vittima innocente di calunnie e attacchi ingiusti? Ecco, Berlusconi, nelle sue ultime uscite, è diventato un po’ il Cornacchione di Putin, provando a “giustificarlo”, per l’invasione dell’Ucraina, come vittima di pressioni e macchinazioni altrui. Le tesi del Silvio nazionale, che ora ribadisce l’appoggio all’Ucraina ma non ha mai nascosto la simpatia politica e personale per il leader russo, sono già state riportate in queste pagine e quindi non staremo a ripetere. Cercheremo piuttosto di spiegare perché, una per una, quelle tesi sono tutte insostenibili. Per ragioni legate alla storia recente, prima di tutto. E poi anche per un altro, decisivo fatto. La Russia ha molti torti ma non ha tutti i torti, anche se qui non ne parleremo. Purtroppo per lei e per noi, però, ha il torto definitivo: quello di aver iniziato, il 24 febbraio, questa guerra d’aggressione che porterà solo lutti, distruzioni e difficoltà a tutti. Ma torniamo a Berlusconi…
Sono state le due Repubbliche del Donbass a chiedergli aiuto
È sicuramente successo (vedremo tra poco come e quanto) ma è più vero il contrario. Nei primissimi anni Novanta, i dirigenti della Russia diventata Stato autonomo elaborarono la teoria del blizhny zarubezh (estero vicino) per ribadire che Mosca riteneva di avere un diritto/dovere di influenza sui Paesi diventati autonomi con la dissoluzione dell’Urss. Nelle diverse strategie messe in campo (relazioni economiche, pressioni politiche, accordi particolari, ecc. ecc.), c’è sempre stata anche quella di proteggere le minoranze russe rimaste in Paesi diventati di colpo stranieri.
Ovunque, in questi casi, ci sono stati scontri armati: nel 1991 tra l’enclave russofona dell’Ossetia del Sud secessionista rispetto alla Georgia e nel 1992, con le stesse dinamiche, tra l’Abkhazia e la Georgia; nel 1992 tra l’enclave russofona della Transnistria secessionista rispetto alla Moldavia; nel 2008 addirittura una guerra tra Russia e Georgia per l’Ossetia.
Nel 2014, infine, esplose la questione del Donbass. E qui le date contano assai. Perché, prima, c’era stata la riannessione della Crimea alla Russia: il 27 febbraio le truppe russe (gli “omini verdi” senza insegne) presero il controllo della penisola e il 6 marzo si tenne il referendum per sancire il ritorno sotto la sovranità di Mosca. Il conflitto nel Donbass esplose solo in aprile, con i tentativi di secessione. Fu solo quando gli autonomisti rischiarono di essere schiacciati dall’esercito di Kiev che arrivarono a Donetsk e Lugansk le armi e i rinforzi russi.
La questione Donbass era aperta da tempo, certo. Ma è ragionevole pensare che sia stata la Russia a chiedere agli indipendentisti di muoversi, anche per aprire un secondo fronte (dopo la Crimea) con l’Ucraina. Non il contrario. E lo stesso vale per la spedizione militare partita il 24 febbraio quando, sia pure dopo otto anni di guerra, non sembrava imminente un’offensiva ucraina. Riassumendo: Putin non ha improvvisato, non ha reagito a circostanze nuove e drammatiche. Pratica una politica che addirittura precede la sua ascesa al potere e a cui l’invasione dell’Ucraina, sebbene assai più drammatica di tutti gli altri casi, è perfettamente coerente.
Putin ha trovato una resistenza imprevista e le sue truppe avrebbero dovuto raggiungere Kiev in una settimana
È una tesi molto diffusa, quella secondo cui il Cremlino era convinto di realizzare in Ucraina una guerra lampo. Purtroppo è anche una tesi assurda. Tutti sapevano che l’Ucraina, negli ultimi anni, aveva riformato e rinforzato non solo l’esercito (che contava circa 200 mila uomini con la prospettiva di arrivare a 250 mila, affiancato da una milizia territoriale che doveva toccare quota 190 mila uomini e al momento della guerra comunque sfiorava i 100 mila) ma anche i servizi segreti; che dagli Usa e da diversi Paesi europei negli ultimi anni erano arrivati quattrini, armi e consiglieri militari; che nel solo 2021 l’Ucraina aveva speso il 4,2% del Pil per la Difesa. Solo un russo sciocco poteva credere nella guerra lampo, visto che il corpo di spedizione lanciato da Mosca superava di poco i 100 mila uomini. E Putin sciocco non lo è stato mai.
La verità è un’altra. Il Cremlino aveva certo messo in conto uno scontro duro, sanguinoso e non breve. Credeva però di avere forze sufficienti per raggiungere il vero suo obiettivo, che è sempre stato arrivare fino al Dnepr e annettere la parte orientale dell’Ucraina, non tutto il Paese. Non sembri poco: quella è la parte in cui si concentrano tutti i più importanti impianti industriali, le maggiori miniere e le più grandi centrali atomiche ed elettriche dell’Ucraina. Cosa che infatti cerca di fare adesso, con molte maggiori difficoltà, attraverso i referendum nelle Repubbliche di Donetsk e Lugansk e nelle regioni (che solo in parte controlla) di Kherson e Zaporozhye.
Putin voleva sostituire Zelensky con un Governo di persone perbene
La categoria “persone per bene” è difficile da decifrare. Prima del rivolgimento di EuroMaidan del 2014, in Ucraina governava, con tutto l’appoggio di Mosca, il presidente Viktor Yanukovich, affarista e corrotto, certo non molto “per bene”. E Vladimir Putin, freddo e calcolatore com’è, pare più interessato all’utile politico che ai valori morali dei suoi interlocutori. Forse però sarebbe utile astrarsi dalle categorie morali. Volodymir Zelensky, il presidente ucraino, è di certo un eroe per il proprio popolo ma anche a lui il "per bene" si adatta solo fino a un certo punto. Attore e regista, era già ricco prima di entrare in politica e aveva costruito una rete di 14 società offshore per sfuggire alle tasse ucraine e mettere al sicuro il capitale. Diventato Presidente, ha chiamato in posti di altissima responsabilità (capo dei servizi segreti, procuratore generale, consiglieri della Presidenza…) un gran numero di ex soci in affari. Approfittando dello stato di emergenza per la guerra nel Donbass, ha chiuso giornali e Tv, eliminato i partiti di opposizione, cacciato chi gli era scomodo o non serviva più con la ricorrente accusa di “tradimento”. Però nel 2019 è stato eletto in modo perfettamente democratico e approfitta delle leggi che ha. Per bene o no, Zelensky è il legittimo Presidente dell’Ucraina. Pensare di sostituirlo con una guerra, come Berlusconi pensa che voleva fare Putin, invece non è legittimo per niente.