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Opinioni

Trump, Brexit, Renzi: è l’era della post-verità

Mentre nel resto del mondo i politici outsider fanno sempre più ricorso alle menzogne, in Italia questa strategia viene utilizzata dal governo. In vista del referendum costituzionale.
A cura di Michele Azzu
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Viviamo nell’epoca politica della “post-verità”, è questa la maniera con cui una recente analisi di Jonathan Freedland sul quotidiano The Guardian definisce il paradosso delle campagne elettorali – o referendarie – dei nostri tempi. Donald Trump negli Stati Uniti, i sostenitori della Brexit nel Regno Unito – in particolare l’attuale ministro degli esteri Boris Johnson – assieme a numerosi esponenti dei movimenti europei anti-establishment.

Ciò che li accomuna è il continuo ricorso a menzogne durante i loro comizi e nelle interviste. Post-verità dunque: una maniera per dire che anche se le “balle” in politica sono sempre esistite ora sono diventate sistemiche, sia per la loro presenza costante, sia per l’importanza dei politici che ne fanno uso, sia perché ormai il fenomeno non suscita più grande indignazione.

Perché, affermano gli esperti e i numeri sembrano dar loro ragione, chi più fa ricorso alla post-verità ha maggiori possibilità di successo. Ma questo succede soprattutto per i partiti anti-establishment o i cosiddetti populisti: se un politico “outsider” al potere fa affermazioni false in contrapposizione al governo e al parlamento ha, solitamente, più possibilità di successo rispetto alla controparte – anche quando questa espone fatti che sono veri.

Ad esempio, durante la campagna referendaria che ha portato il Regno Unito a votare per uscire dall’Unione Europea, i sostenitori della Brexit – Boris Johnson, Michael Gove, Liam Fox – sono ricorsi di continuo alle bugie. Sui bus rossi dei ‘brexiteer’ ha campeggiato per settimane la scritta “350 milioni di sterline alla sanità”. Per mesi queste persone hanno sostenuto che il Regno Unito inviasse all’Europa 350 milioni di sterline la settimana, e che questi soldi sarebbero andati alla sanità britannica una volta dopo la Brexit.

Non era vero. Non solo la cifra di 350 milioni di sterline non corrisponde a realtà ma gli stessi esponenti della Brexit il giorno dopo la vittoria hanno affermato in tv che i soldi non sarebbero mai andati alla sanità (“potrebbero forse” ha affermato in seguito Johnson). È solo una fra le tante bugie raccontate durante il referendum: c’è stata anche quella della Regina Elisabetta che avrebbe sostenuto la Brexit, o quella dell’UE che avrebbe deciso di negoziare con l’UK un patto per il commercio garantendo però un limite all’immigrazione dall’Europa. Tutte menzogne. Che però sono passate sui media.

L’aspetto interessante della vicenda, tuttavia, è come i fatti (veri) esposti dalla controparte, e cioè da chi ha sostenuto la causa per rimanere dentro l’Unione Europea, non siano mai riusciti a fare breccia nell’elettorato britannico. Non è servito dire che l’immigrazione non sarebbe cambiata dopo la Brexit, o che i 350 milioni all’Europa non esistevano, né è servito spiegare come Boris Johnson avesse costruito la propria carriera politica proprio inventando false notizie riguardanti l’Unione Europea (Johnson lavora tuttora come giornalista).

Perché è l’era della post-verità, e chi mente può vincere. Facendo leva sui sempre più popolari sentimenti anti-establishment, diffusi ormai ovunque. Verso l'odio montante contro politici di professione, esperti e grandi istituzioni. Così, anche se si è trattato di bugie, queste affermazioni false sulla Brexit hanno funzionato in Gran Bretagna perché hanno fatto propria una narrazione molto sentita fra i cittadini: quella dell’Unione Europa cattiva dei burocrati lobbisti, amici delle banche, che decidono contro gli interessi dei cittadini per arricchire l’1% della popolazione mondiale.

Ancora più eclatante il caso di Donald Trump in America. Nonostante sia da decenni fra le persone più potenti e ricche del paese, Trump è riuscito a inserirsi nella corsa alle elezioni presidenziali americane con una campagna anti-establishment ricca di menzogne spettacolari. Trump, ad esempio, ha affermato che Barack Obama non sarebbe nato negli Stati Uniti (falso). Ha sostenuto, poi, di essersi opposto in passato alla guerra in Iraq (falso). Ha detto di avere iniziato la propria carriera con un piccolo prestito da suo padre, che si è rivelato poi essere di 40 milioni di dollari.

Trump ha detto che il padre del suo contendente alle primarie repubblicane, Ted Cruz, era amico dell’assassino di John Kennedy. E che avrebbe visto un video che mostra il passaggio di grandi somme di denaro tra il governo americano e quello iraniano (una storia completamente inventata). A seguito di questa incredibile serie di menzogne da parte del candidato i canali televisivi americani CNN e MSNBC sono stati costretti ad inserire, in diretta sui propri schermi, in sovraimpressione delle scritte che riportano l’avvertenza: “l’affermazione è falsa”, durante le interviste a Trump.

Il sito Daily Wire riporta le 101 balle più clamorose di Trump. Secondo i giornalisti del Washington Post, il magnate riporterebbe una percentuale del 70% di falsità sul totale delle proprie dichiarazioni, mentre per il sito di news Politico, che ha analizzato quattro ore e mezza di comizi del candidato, la cifra raggiungerebbe il 75% del totale, con una media di una bugia ogni 5 minuti di discorso. Una somma così alta che costringerebbe i media stessi a dover rettificare ogni trascrizione dei comizi, qualora decidessero di pubblicarli in forma scritta.

Gli esempi sono tanti. E sono i casi più eclatanti, dopotutto con le menzogne il Regno Unito ora ha cambiato governo e lascerà l’Unione Europea, mentre in America le bugie più incredibili potrebbero mettere Donald Trump alla guida del paese. Tutto ciò era impensabile fino a poco tempo fa. Ma non per l’Italia. Dopotutto è il nostro paese ad avere precorso l’era della post-verità con il ventennio Berlusconi. Sono passati solo pochi anni dalle clamorose “balle” del premier di Forza Italia: dal milione di posti di lavoro, alla nipote di Mubarak, alla crisi negata per 2 anni di fila, al taglio delle tasse mai avvenuto nella realtà.

L’elenco di tutte le bugie di Berlusconi sarebbe infinito. Ma anche a Matteo Renzi, nonostante i soli due anni di governo, non  dispiace ricorrere alle menzogne a seconda della necessità. Eccone alcune: L’Italia ha un deficit fra i migliori al mondo, l’Italia non ha una crisi dell’occupazione, i 18 miliardi di tasse in meno, gli 80 euro anche ai pensionati e alle partite Iva, gi impresentabili fuori dal PD, le vertenze industriali sono state risolte e infine i partiti fuori dalla Rai. E via così in un elenco infinito di dati e dichiarazioni che nella migliore delle ipotesi sono imprecisi e nella peggiore inesistenti. Il presidente del consiglio ha fatto sua la lezione impartita da Berlusconi.

Lo si dice spesso, l’Italia è stata fortemente danneggiata da 20 anni di “Berlusconismo”, siamo un popolo ormai assuefatto alle iperboli e alle “balle” a ritmo continuo da parte dei parlamentari. Alfano, Salvini, Razzi non sono da meno. Difficilmente c’è un controllo da parte dei media, e così ogni giorno si finisce a ritrovare quelle medesime bugie in prima pagina su giornali e nei telegiornali. Con una differenza sostanziale, però. E cioè che mentre con Berlusconi buona parte dei media, assieme agli intellettuali e alle opposizioni, esercitava la funzione di controllo… con Renzi assistiamo a una quasi egemonia del consenso mediatico.

Gli intellettuali rimangono muti. I media sono in buona parte asserviti. I giovani, poi, sono meno attenti e si astengono dal voto, schifati da tutto ciò che riguarda il potere. Si ritorna ai sentimenti anti-establishment di cui sopra. E proprio qui sta la beffa. Perché mentre nel resto del mondo l’esercizio della post-verità – o più prosaicamente del massivo ricorso alla menzogna come strumento politico – viene esercitato da “outsider” che vogliono arrivare al potere sfruttando il malcontento della popolazione… in Italia questo stesso processo viene fatto dal governo.

Ma dove non c’è un pubblico informato non può esserci un voto responsabile e non c’è democrazia. Soprattutto se nello stesso momento vengono nominati dei nuovi direttori dei tg Rai che condividono la linea politica ed “editoriale” del premier, come è avvenuto nei giorni scorsi. Insomma, fra pochi mesi ci avviamo al referendum più importante degli ultimi anni in Italia, quello costituzionale, con il pericolo di un governo che va avanti a colpi di bugie e mezze verità, e allo stesso tempo il servizio pubblico e la maggioranza dei media è in mano al premier o ai suoi simpatizzanti.

Ora Matteo Renzi annuncia che se passa il referendum 500 milioni di euro andranno ai poveri. Possiamo aspettarci una lunga serie di annunci come questo da qui al referendum. Ma chi controllerà la veridicità di queste affermazioni? Nessuno. È l’era della post-verità, bellezza. Ma mentre all'estero la si usa per arrivare al potere, in Italia c'è chi la utilizza per rimanerci.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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