Trombosi da vaccino, prof che ha trovato la cura: “Protocollo funziona, possiamo salvare pazienti”
Rossella Marcucci, professore associato di Medicina Interna all'Università degli studi di Firenze e direttrice della struttura ospedaliera dipartimentale ‘Malattie Aterotrombotiche' presso l'Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze, è uno dei maggiori esperti in Italia nella diagnosi della VITT, la trombosi venosa trombocitopenica da vaccino, un disturbo raro che può presentarsi dopo la somministrazione dei vaccini a vettore virale – in questo momento sono AstraZeneca e Johnson & Johnson quelli autorizzati dall'Ema – e che può portare anche alla morte, come purtroppo è accaduto nel caso della giovane donna di 18 anni, deceduta a Genova.
È suo il primo studio italiano sulla coagulazione del sangue legata ai vaccini anti Covid-19, che è stato pubblicato sulla rivista scientifica internazionale ‘Blood Transfus'. La professoressa Marcucci, in collaborazione con la Società Italiana per lo Studio dell'Emostasi e della Trombosi, è riuscita a individuare un protocollo per trattare questa patologia. La terapia ha salvato la vita a una paziente di 50 anni, che aveva avuto una reazione avversa grave, dopo essersi vaccinata con AstraZeneca. In attesa di conoscere quali saranno le nuove raccomandazioni del Cts e dell'Aifa sull'utilizzo di questi farmaci abbiamo chiesto alla professoressa Marcucci di chiarire alcuni dubbi su questo particolare tipo di trombosi.
Professoressa, cosa sappiamo di questa forma trombosi?
È una manifestazione trombotica legata a una complicanza immunitaria: si formano degli anticorpi anti PF4, che è un componente delle piastrine; questi anticorpi sono in grado di attivare le piastrine e la coagulazione, che poi dà il quadro trombotico. Si verifica prevalentemente nelle donne giovani, una fascia d'età in cui si muore difficilmente per il Covid, per cui si perde il vantaggio della vaccinazione con questi farmaci, AstraZeneca e Johnson & Johnson, e i rischi sono maggiori dei benefici.
Questi vaccini, oltre a essere sconsigliati alle donne giovani, andrebbero evitati anche in presenza di altre patologie?
No, al momento dall'analisi di tutti i casi che sono emersi nel mondo Occidentale e in particolare in Europa, dove maggiormente sono stati usati vaccini ad adenovirus, non abbiamo trovato delle condizioni di rischio, al di là del fatto che queste patologie si manifestano di più nelle fasce d'età più giovanili. Sono degli eventi rarissimi, ma vanno a colpire una fascia d'età in cui il vantaggio della vaccinazione è basso.
Alcuni medici dicono che questi vaccini vanno sconsigliati a chi prende la pillola anticoncezionale. È così?
No, non c'è nessun dato in questo senso. Anche la Società Italiana per lo Studio dell'Emostasi e della Trombosi (SISET) ha detto che non è affatto dimostrato che questi eventi si verifichino maggiormente nei soggetti che prendono la pillola, così come non c'è nessuna dimostrazione che questi eventi trombotici si verifichino di più in chi ha una storia familiare o ha una trombofilia. In tutti i casi che abbiamo esaminato non è mai emersa questa correlazione.
Esiste un esame che può essere effettuato prima dell'eventuale vaccinazione per verificare se un soggetto è a rischio VITT o meno?
No, non esiste un esame. Purtroppo spesso vengono date anche indicazioni inappropriate. Io ho molti pazienti che mi consultano prima del vaccino, ma è anzi sconsigliato sottoporsi a esami, perché non c'è nessun approfondimento clinico che ci consenta di individuare le persone più a rischio. Di test che vanno a ricercare i marcatori di trombofilia, per individuare chi ha una predisposizione per la trombosi, ce ne sono tanti. Ma queste alterazioni non sono rare, possono essere presenti anche nel 3-5% della popolazione. Se fossero queste la causa della VITT avremmo avuto molti più casi di reazioni avverse gravi. E invece questi eventi legati al vaccino sono rarissimi, e in nessuno dei casi che abbiamo trovato c'è stata una correlazione con la trombofilia. Chi sa di essere portatore di trombofilia non ha insomma un rischio maggiore rispetto al resto della popolazione.
Ci spiega come funziona il protocollo che avete proposto per trattare questi casi di VITT?
È una proposta operativa per casi come questi, e sulla stessa linea è stato pubblicato un altro lavoro internazionale nei giorni scorsi. Il concetto è che questi pazienti vanno trattati con le immunoglobine e la terapia steroidea, cioè il cortisone, per cercare di tenere sotto controllo questi anticorpi; e poi va dato un anticoagulante, che però deve essere diverso rispetto all'eparina, perché il tipo di meccanismo che si innesca – noi lo abbiamo ipotizzato e poi dimostrato – è molto simile a quello che si verifica in una condizione che si chiama trombocitopenia da eparina. In questo caso non è il vaccino ma appunto l'eparina a innescare queste reazioni, sempre mediate da questi anticorpi. È più appropriato allora con la VITT non usare l'eparina per non correre il rischio di avere una cross-reattività, che potrebbe alimentare questo tipo di reazioni avverse. Noi abbiamo pubblicato il primo caso in Italia, lo studio su una paziente che è stata curata con questo protocollo, che è a disposizione di tutti. Questa donna ha 50 anni ed era stata vaccinata con AstraZeneca.
Quali sono i sintomi più comuni?
I sintomi sono una cefalea atipica e persistente, un dolore addominale importante, o la comparsa di piccoli puntini rossi nel corpo, segno di piastrine basse.
Quando compaiono i primi sintomi?
I sintomi non compaiono subito, non bisogna confonderli con il normale malessere, febbre o cefalea, che comunemente si presentano a poche ore dal vaccino. Per la VITT la sintomatologia va dai 7 ai 30 giorni post vaccinazione. Si parla di complicanze trombotiche che si manifestano nel distretto cerebrale o addominale.
Cosa bisogna fare quando si manifestano questi sintomi?
Bisogna contattare il proprio medico di base, che poi valuterà se indirizzare il paziente al Pronto Soccorso.
Al momento Aifa dice che questi vaccini a vettore virale possono essere usati per tutte le fasce d'età, anche se ne raccomanda un uso preferenziale per gli over 60. Secondo lei questa comunicazione ambigua rischia di aumentare le paure nei cittadini?
In realtà l'Aifa aveva raccomandato molto chiaramente l'utilizzo di questi farmaci al di sopra dei 60 anni. Poi nell'applicazione pratica si sono fatte scelte diverse. La paura c'è sempre stata, ma queste decisioni politiche si sono rivelate un boomerang per la vaccinazione, perché questi casi alimentano i No Vax.
Lei pensa si debbano sospendere del tutto questi vaccini?
L'indicazione, come appunto ha detto l'Aifa, è quella di preferire i vaccini a mRNA, Pfizer e Moderna, per le persone più giovani. I vaccini sono tutti efficaci, ma bisogna tenere conto delle fasce d'età a cui si somministrano, per non mettere in pericolo la salute dei cittadini. Visto anche l'andamento della situazione epidemiologica, in netto miglioramento, non si può accettare che i rischi della vaccinazione siano maggiori rispetto alle conseguenze della malattia.
E per i richiami, per chi ha già ricevuto la prima dose con AstraZeneca?
I dati che abbiamo sulle seconde dosi sono confortanti, non abbiamo riscontrato casi di VITT nei richiami. I casi gravi che sono stati diagnosticati si sono verificati tutti dopo le prime dosi. È giusto però tenere conto del fatto che ora sappiamo che se si fa un mix, per esempio AstraZeneca e Pfizer, la copertura è molto buona, e questo è un elemento che non avevamo prima, l'efficacia dell'immunizzazione non cambia.