Tra il 2000 ed il 2013 il Sud Italia è cresciuto la metà della Grecia
Sono state diffuse oggi, nel corso di una conferenza stampa a Roma, le anticipazioni del rapporto Svimez 2015 sull’economia del Mezzogiorno. Si tratta dell’annuale “fotografia” della situazione economica delle Regioni meridionali scattata dal centro studi della società per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno d’Italia. La ricerca si sofferma sui tassi di crescita, evidenziando come tra il 2000 ed il 2013 l’Italia sia stato il Paese dell’area euro (considerata a 18 stati) ad essere cresciuto di meno: complessivamente la crescita italiana è stata del 20,6%, quasi la metà della media europea (37,3%) e inferiore persino a quella della Grecia (24%). Dati che, seppur influenzati dalle differenti dinamiche “pre – crisi economica del 2008”, ci consentono di rilevare le tante contraddizioni e difficoltà del sistema Italia nel suo complesso.
In tal senso, ancora una volta l’attenzione è puntata sugli squilibri territoriali. Nel periodo considerato, infatti, il Sud del Paese è cresciuto del 13%, quasi la metà della Grecia e “40 punti percentuali in meno della media delle regioni Convergenza dell'Europa a 28 (+53,6%)”. Ma non solo, perché negli anni in oggetto si è ampliata la forbice tra il Centro – Nord ed il Sud anche per quel che concerne il Pil pro capite: il divario è ai livelli del secolo scorso, con il Mezzogiorno al 63,9% del valore nazionale. Il pericolo, scrivono i tecnici della Svimez, è quello del "sottosviluppo permanente" dell'area meridionale, con ripercussioni chiare ed evidenti soprattutto sulle fasce a basso reddito e sul blocco della mobilità sociale. Del resto, spiegano i tecnici Svimez, "le dinamiche cicliche legate all’ultimo ciclo si sono sovrapposte alle tendenze strutturali di medio-lungo periodo per i diversi settori nelle due aree del Paese".
Si legge nel rapporto:
Le regioni del Sud hanno risentito non solo dello stimolo relativamente inferiore rispetto al resto del Paese della domanda estera, ma anche della riduzione della domanda interna, associata anche al calo della loro competitività sul mercato nazionale, che ha riguardato sia la spesa per consumi, la cui flessione è attribuibile, per parte importante, al calo dei consumi pubblici, sia la spesa per investimenti, che si è ridotta ulteriormente più che nel resto del Paese […] La crisi lascia quindi un Paese ancor più diviso del passato e sempre più diseguale. La flessione dell’attività produttiva è stata molto più profonda ed estesa nel Mezzogiorno che nel resto del Paese, con effetti negativi che appaiono non più solo transitori ma strutturali, e che spiegano il maggior permanere delle difficoltà di crescita e la minore capacità di queste aree di agganciarsi alla ripresa internazionale. La crisi ha depauperato le risorse del Mezzogiorno e il suo potenziale produttivo […] Non sarà facile disancorare il Mezzogiorno da questa spirale di bassa produttività, bassa crescita, e quindi minore benessere. I dati segnalano come la capacità delle regioni meridionali di rimanere, dal dopoguerra, comunque agganciate allo sviluppo del resto del Paese, sia ora sempre minore
Anche sul versante occupazionale la situazione resta drammatica, come scrive la Svimez: “Il numero degli occupati nel Mezzogiorno, ancora in calo nel 2014, arriva a 5,8 milioni, il livello più basso almeno dal 1977, anno di inizio delle serie storiche Istat”. Un insieme di condizioni che determina un aumento del rischio povertà, aumentata del 2,2% rispetto al 2011 (la Regione a più alto rischio di povertà resta la Sicilia, seguita da Campania e Calabria).