Tetti, calcoli, tagli: gli escamotage nascosti del governo in manovra per far quadrare i conti
Con il passare dei giorni, dopo l'invio al parlamento della legge di bilancio, salta sempre più agli occhi una circostanza, che era evidente a intuito, ben prima della presentazione del testo: tutto quello che il governo aveva annunciato, nella manovra non ci poteva stare. Molto banalmente, non lo permettono i vincoli di bilancio, imposti dalle nuove regole europee. Così sono state accantonate alcune promesse dei partiti, dall'estensione della flat tax, all'incremento delle pensioni minime, fino (almeno per ora) alla riduzione dell'Irpef per il ceto medio. Altre misure, presenti lo scorso anno sono state eliminate, a cominciare dal taglio del canone Rai. E anche il proclama riguardo sulle "zero nuove tasse" per famiglie e imprese, non ha retto alla prova dei fatti: basti pensare – solo per fare un paio di esempi – all'estensione della digital tax o all'aumento delle accise sul diesel.
In alcuni casi, poi, il governo è ricorso a dei veri e propri escamotage contabili, per stringere i cordoni della borsa, senza dichiararlo apertamente. Prendiamo la misura simbolo della manovra, il taglio del cuneo fiscale. Formalmente è stato esteso, arrivando a comprendere i redditi fino a 40mila euro, dai precedenti 35mila. Ma rispetto alla formulazione precedente, la norma è stata profondamente rivista. Per l'anno in corso, si trattava di un taglio dei contributi pari a 7 punti percentuali, per i redditi da lavoro entro i 25mila euro. E di sei punti, per quelli sotto il tetto dei 35mila. Dal 2025 invece sarà previsto un mix di tra bonus di tre diverse entità, per chi guadagna meno di 20mila euro. E una scala di detrazioni, per la fascia dai 20 e i 40mila euro.
Le trappole del nuovo cuneo
Il ministro dell'Economia Giorgetti ha assicurato che il meccanismo è studiato per far sì che i benefici non mutino, con in più appunto l'estensione del numero dipendenti a cui spetterà la detrazione. Formalmente il ragionamento è corretto, nel senso che a parità di reddito da lavoro, si otterrà più o meno quanto corrisposto nel 2024. A cambiare però è il meccanismo, per cui i soggetti interessati verranno collocati nelle diverse fasce di beneficio. Fino a oggi, per stabilire a chi spettava il taglio da 7 e 6 percento del cuneo, si usava come base il reddito imponibile del lavoratore. Ora ,invece, l'appartenenza a uno dei tre scaglioni previsti per ottenere il bonus (sotto i 20mila euro) o la deduzione (fra 20 e 40mila) sarà calcolata, considerando il più ricco reddito complessivo. Quello che comprende, oltre allo stipendio da dipendente, anche altri introiti come possibili affitti, trattamenti pensionistici anticipati, partecipazioni societarie, assegni di invalidità parziale, compensi occasionali, etc…
Dunque, un lavoratore che sulla base del proprio reddito imponibile – derivato dal rapporto di lavoro subordinato – otterrebbe un trattamento più vantaggioso, potrebbe invece essere penalizzato, se il suo reddito complessivo lo portasse a scavalcare una delle diverse soglie previste dalla legge di bilancio, per calcolare il benefit. O addirittura a essere escluso in toto dalla misura, se con altri introiti diversi superasse il limite massimo dei 40mila euro. In una simulazione per il quotidiano La Stampa, lo Studio tributario Timpone ha calcolato perdite possibili tra gli 82 fino ai 1080 euro l'anno, per chi cadrà nella trappola della nuova versione della norma, rispetto a quanto avrebbe ottenuto con la precedente versione del taglio del cuneo.
Benefit per i figli, ma non troppo
Passiamo ora a un'altra bandierina del governo Meloni in manovra: l'applicazione del quoziente familiare. È stato presentato come un modo per far pagare meno, chi ha più figli. In realtà sarà usato non per offrire maggiori benefici, ma per calcolare una penalizzazione. Il meccanismo a cui viene applicato il quoziente infatti è quello del taglio delle detrazioni. La legge di bilancio infatti stabilisce un tetto massimo di 14mila euro per le detrazioni, di chi percepisce un reddito sopra i 75mila euro. E di 8mila euro, per chi supera i 100mila. Ora, si potrebbe pensare che nel caso di contribuente con prole questi tetti vengano aumentati. In realtà sono diminuiti, anche se in misura minore, più sono i figli a carico. Così per i nuclei familiari senza figli il tetto si riduce della metà, per chi ha un figlio arriva al 70 percento, per chi ne ha due all'85 percento. Insomma, tutti i contribuenti con due figli e reddito maggiore di 75mila euro sono doppiamente penalizzati, dall'applicazione del tetto alle detrazioni e dalla sua successiva decurtazione. Solo chi ha almeno tre figli può raggiungere la soglia piena di 14mila o 8mila euro.
Infine veniamo al cosiddetto bonus mamme. Anche qui, l'esecutivo ha ampiamente pubblicizzato l'estensione della norma sulla parziale decontribuzione per le madri lavoratrici con due o più figli, anche alle autonome. Ma ha omesso di dire, che nello stesso tempo è stato introdotto un tetto, che limita il beneficio alle donne con redditi sotto i 40mila euro. Come nel caso del taglio delle detrazioni, pure in questo caso si può discutere se i nuovi vincoli vadano nella direzione di una maggiore equità fiscale, oppure colpiscano anche la classe media. Il punto è che mentre il governo si affretta a decantare ogni singolo euro in più destinato a famiglie e imprese, c'è molto più silenzio sui tanti lacci e vincoli introdotti, pur di far quadrare i conti.