L'ultimo a parlare in ordine di tempo è stato Vito Crimi, capogruppo al Senato della Repubblica per il Movimento 5 Stelle: "Manteniamo l’impegno, io posso dire a nome dei 53 senatori che restituiremo la parte non spesa, su questo non c’è dubbio”. Un intervento che è servito a mettere ordine nel caos di dichiarazioni, polemiche, orientamenti sulla restituzione o meno della diaria da parte dei parlamentari del Movimento 5 Stelle. Ma andiamo con ordine. Il riferimento è ovviamente ai 3.500 euro circa che gli eletti ricevono a titolo di rimborso spese di soggiorno a Roma e che costituisce parte dello stipendio complessivo, assieme all'indennità (circa 5000 euro netti), alle spese per l'esercizio del mandato (circa 3700 euro netti, di cui solo il 50% con un rimborso forfettario), alle spese di trasporto e di viaggio e a quelle telefoniche (3000 euro annui circa). Il codice di comportamento degli eletti del Movimento 5 Stelle parla chiaro: ogni parlamentare ha diritto a 5000 euro lordi di indennità (dunque intorno ai 2500 – 3000 euro netti a seconda dei casi), più le spese sostenute e rendicontate. Il resto va restituito, con forme e modi ancora da determinare, dal momento che nessuno prima d'ora ha mai restituito soldi allo Stato ed il fondo per il microcredito utilizzato ad esempio in Sicilia è uno strumento ancora da perfezionare.
Tutto chiaro, dunque? Niente affatto, perché, come ammesso dallo stesso Grillo e confermato anche da alcuni parlamentari del Movimento 5 Stelle, "un piccolo gruppo di parlamentari non vuole restituire la parte rimanente delle spese non sostenute". La reazione di Grillo è stata come al solito estremamente dura: "Fanculo, non si fa la cresta sui soldi". Il punto è che il capo politico del Movimento ha capito che intorno alla capacità di rispettare i patti ed alla discontinuità con i precedenti modelli comportamentali dei politici, il Movimento gioca la sua partita più importante: "Il Paese ci osserva. Ci premierà per la nostra coerenza o ci punirà per i nostri errori. "Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo" disse Mahatma Gandhi. L'Italia la cambieremo soltanto attraverso l'esempio. Non possiamo chiedere ad altri dei sacrifici se non li facciamo noi stessi. Non ci perdoneranno nulla, non possiamo perdonarci nulla".
Va detto, ad onor del vero, che i "ribelli" non sono belve assetate di denaro, ma che si limitano a sottolineare alcune problematiche di senso. Dal carico fiscale alle "diversità caso per caso", fino alla necessaria flessibilità che può essere gestita con buonsenso e non con direttive rigide e costruite a tavolino allo scopo di "mandare un messaggio".
Quanto questo dibattito interessi il Paese è ancora da capire. Basterebbe fare un piccolo calcolo, per capire innanzitutto di che cifre stiamo parlando. Pur ammettendo un risparmio medio di 2mila euro a parlamentare, la somma complessiva restituita allo Stato sarebbe di circa 300mila euro al mese, 3,6 milioni di euro all'anno, 18 nell'intera legislatura (ove mai il "ciclo" durasse 5 anni). Quanto questa somma sia in grado di incidere sul sistema Paese potete giudicarlo voi stessi, ma concordiamo che il punto non sia questo. In effetti in discussione vi sono due aspetti: il rispetto dei patti e l'onesta intellettuale che deve necessariamente andare oltre la propaganda ai fini elettorali.
I patti andrebbero rispettati, gli eletti a 5 Stelle hanno sottoscritto un codice di comportamento e sono, in linea di principio, tenuti a rispettarlo. Ma, lo ripeteremo fino allo sfinimento, l'ossessione dello stipendio dei parlamentari è semplicemente lo specchietto per le allodole di un sistema al collasso.
In primo luogo perché anche i politici (eresia!) hanno diritto ad uno stipendio "congruo rispetto al lavoro che svolgono". Una cifra giusta e rapportata alla mole di lavoro ed alla valenza dell'incarico che ricoprono, come "immaginato" dai nostri padri costituenti, che hanno inteso mettere al riparo i rappresentanti del popolo da tentazioni di altro tipo (proposito vanificato dall'indecenza di tanti parlamentari, va detto). Ripetiamo, non parliamo di odiosi privilegi, ma della necessità di retribuire in maniera congrua ed equa chi al massimo livello dovrebbe fare gli interessi degli italiani.
La domanda a questo punto è semplice: le forze politiche sono in grado di rinunciare alla propaganda elettorale, abbattendo sì i privilegi, ma evitando di cavalcare il clima di odio e strumentalizzare la sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni? C'è qualcuno che si assume il coraggio di dire che è pura follia discutere di 500 – 1000 euro nel momento in cui il 40% dei giovani è senza lavoro e si annuncia un nuovo attacco speculativo nei confronti del nostro Paese? E non è solo un "problema" del Movimento, perché lo stesso Enrico Letta sta soffiando sul fuoco, confondendo "sacrifici e sacrifici". Come si fa a dire che la rinuncia all'indennità aggiuntiva dei ministri andrà in favore di chi perde il lavoro e non provare un minimo di vergogna? Ci rendiamo conto che si tratta di qualche decina di migliaia di euro, mentre solo nei primi quattro mesi del 2013 circa 500mila cassintegrati hanno perso qualcosa come 2600 euro a testa? Insomma, sarebbe ora di smetterla con questo teatrino. Non abbiamo davvero bisogno di specchietti per le allodole: tenetevi pure le indennità, ma agite da subito per il bene del Paese.